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La scuola pubblica è inclusiva, non esclusiva

Le riflessioni di Vincenzo Musacchio, Direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise

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Da oltre vent’anni mi reco nelle scuole d’Italia per parlare di legalità ai ragazzi e noto in loro la voglia di conoscere e di crescere culturalmente. Dico sempre loro che la scuola pubblica, in uno Stato democratico di matrice solidaristico sociale, non può che essere altamente inclusiva e capace di integrare, di fare della diversità una ricchezza. Chi la pensa diversamente credo sia fuori dal mondo!

Bisogna ammettere che nella scuola italiana ci sono molte cose che non funzionano ma tra quelle funzionanti abbiamo un sistema di integrazione culturale avanzato, di cui possiamo e dobbiamo essere orgogliosi. I dirigenti scolastici e i docenti fanno un lavoro straordinario, pur con carenza di risorse e strumenti che certamente consentirebbero di venire sempre più incontro alle nuove esigenze di studentesse e studenti e delle loro famiglie.

A mio parere è proprio grazie al percorso che le ragazze e i ragazzi con cittadinanza non italiana o i diversamente abili fanno a scuola che il nostro Paese potrà contare anche sui loro talenti e sulle loro intelligenze. Ritengo che sia proprio a scuola che studentesse e studenti, famiglie e comunità sociale con storie diverse possono imparare a conoscere le diversità, a superare le reciproche diffidenze, a sentirsi responsabili di un futuro comune. 

La scuola del terzo millennio non può non essere un laboratorio di convivenza e di crescita culturale. Deve dare risposte efficaci alle storie e ai bisogni educativi di chi è appena arrivato nel nostro Paese e di chi è diversamente abile. La scuola pubblica deve saper accogliere tutti, ciascuno con le proprie differenze di apprendimento e di inserimento.

Non dimentichiamo che funzione della scuola è quella di realizzare tutte le strategie possibili per sviluppare le potenzialità degli studenti pur nelle loro diversità. Penso che non sia né giusto né sano costruire classi “ghetto” per evitare che i disabili, gli extracomunitari o gli emigrati, possano arrecare fastidio alle classi cosiddette di “élite”. Non è giusto anche perché la maggior parte di queste persone vive la propria condizione non per colpa propria.

Sono migliaia gli studenti con disabilità, sia fisica che psichica, che durante l’anno scolastico non possono partecipare alle lezioni insieme ai loro compagni di classe non per colpa loro ma per la carenza di docenti, di fondi e di strutture ad hoc. Quanto agli immigrati nella maggior parte dei casi loro fuggono dalle loro terre solo per salvarsi e molti di loro sono proprio bambini. Nei loro viaggi della speranza spesso muoiono in mare aperto perché viaggiano con imbarcazioni di fortuna.

Mi sento di affermare che la scuola pubblica deve costruire ponti non muri o peggio ghetti. La scuola in cui credo io ha nel suo dna un elemento indispensabile: l’umanità.

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