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“Senza misericordia non c'è giustizia”

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Il tema del Vangelo di oggi è l’atteggiamento di Gesù rispetto alla Legge ebraica. Egli afferma: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento». Gesù non vuole cancellare i comandamenti che il Signore ha dato a Mosè, ma vuole portarli a compimento. E subito dopo aggiunge che questo “compimento” della Legge richiede una giustizia superiore, una osservanza più vera. Dice infatti ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli».

Ma che cosa significa questo «pieno compimento» della Legge? E questa giustizia superiore in che cosa consiste?

Cristo ci mette in guardia da un pericolo: che ci basti la giustizia degli scribi e dei farisei! In cosa consiste questa «giustizia»?

In un'apparenza senza contenuto; in una forma apparentemente bella, ma dentro non cattiva; in un'ipocrisia, un rispetto esteriore privo di amore e di verità. La giustizia quando è nostra, soltanto nostra, è sempre un'ingiustizia, una violenza fatta agli altri o a noi stessi.

“Senza misericordia non c'è giustizia”. Se la misura dei nostri pensieri e dell'agire non è l'amore a Dio, noi combiniamo solo dei guai. Per questo il sentimento più profondo nel nostro animo è il timore, la paura, l'incertezza.

Per noi stessi non possiamo fare nulla, non abbiamo la certezza delle cose che facciamo ogni giorno: neanche il momento che stiamo vivendo ora ci appartiene!

Il nostro futuro, come anche il presente, è un grande punto di domanda: «Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere». Allora cos'è mai la nostra giustizia?

Gesù stesso ci risponde con alcuni esempi. Inizia dal quinto comandamento del decalogo: «Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; … Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (vv. 21-22). Con questo, Gesù ci ricorda che anche le parole possono uccidere! Non bisogna riversare sulle persone il veleno dell’ira, calunniare, dire male. Ma tutto questo alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi. Allora, cerchiamo di evitare le chiacchiere, per raggiungere, così, la perfezione dell’amore.

Il nostro rapporto con Dio non può essere sincero se non vogliamo fare pace con l’altro. E dice così: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello» (vv. 23-24). Perciò siamo chiamati a riconciliarci con i nostri fratelli e con Dio partendo di qui, dal riconoscerci che siamo nulla davanti a Dio: «Signore, sono nulla…Ti prego aiutami!».

Qualunque amicizia se non parte da qui può essere solo una falsa convivenza, dove poco o tanto si deve fingere, nascondere le proprie colpe per poter stare insieme.

«Signore, pietà!»: io non ho consistenza alcuna, mi abbandono a Te che mi fai, a Te, Padre che continuamente mi crei, attimo per attimo. «In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo». L'umiltà è la verità. Dall'abbandono nasce una nuova sapienza. Tutto è grazia: non esiste più la paura, ma la pace, che non è non fare la guerra, ma stare attenti a qualunque cosa accada. Amen!

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