Il borgo antico di Torrebruna, più comunemente chiamato la “parte vecchia de la Torr’”, è da intendere come quella parte del paese quasi completamente abbandonata in cui sono ormai poche le persone che ancora percorrono i suoi vicoli, sono poche da non poter più dare a quei vicoli la vitalità di una volta. Una vitalità che era reale e tangibile non tanto tempo fa (basti pensare che gran parte delle abitazioni abbandonate sono fornite di rete elettrica i cui primi allacci nel paese sono stati effettuati nel secondo dopoguerra!) e che si svolgeva tra Porta da capo e Porta da piedi, lungo tutte le “ruvarelle” affollate di gente (o di generazioni come gradirebbe dire mia nonna!). Ora, invece, si rischia di passare per la Via de la Terr o avere la semplice curiosità di percorrere una delle tante ruvarelle e non essere nemmeno avvistati... che peccato!
La situazione è quella di edifici abbandonati a loro stessi o più delle volte alla natura, come a osservare dettami di una teoria del restauro che ci indica l’esaltazione del rudere, la rinnegazione di una qualsiasi tecnica di mantenimento. L’edificio come qualsiasi altro essere è nato, è cresciuto asservendosi alla necessità di chi l’ha abitato, per poi morire: teoria del restauro del tutto condivisibile se non fosse che ciò che stiamo vedendo morire non è il risultato di una scelta ponderata, ma la conseguenza del nostro ”fregarcene” o ancora peggio del non averci mai pensato.
Non lo avevo mai fatto neanche io, fino a quando non mi sono trovata a dover sostenere un esame di restauro presso la mia facoltà e il caso ha voluto che come tema d’esame scegliessi una delle tante case-mura presenti nel nostro borgo. Finalmente sono riuscita ad aprire gli occhi, a vedere tutto quello che per anni non avevo mai visto e rendermi conto di tutto quello che si stava perdendo (basti pensare che della maestosità dell’edificio, punto di forza della mia scelta, sono rimaste solo due mezze-pareti e una porta a terra!). Consapevole, quindi, che ai circa 800 abitanti di Torrebruna a pochi capiterà di sostenere un esame per scoprire il proprio paese, penso sia il caso di muoverci verso una direzione che ci permetta di riappropriarci della nostra storia.
La domanda a questo punto nasce spontanea: «Che fare?»; «Da dove iniziare?» e poi ultima ma non meno importante (in quanto sarà quella che tutti si porranno) «Ne vale veramente la pena?». La risposta non è delle più semplici in quanto nella pratica di tutti i giorni non so quanto una mia idea o quella di qualcun altro possa essere realizzata; poco so anche dei processi legislativi nel campo del restauro come anche per quanto riguarda tempi e criteri burocratici per avere fondi. Una cosa però è certa, il poter dire che un’idea c’è e che i torresi si interessano del proprio paese è già in gran passo avanti.
Qualche passetto negli anni lo abbiamo anche fatto: la ricerca storica svolta per realizzare mostre e manifestazioni sono una solida base per andare avanti; da ammettere anche quanto sia lodevole l’iniziativa di integrare la parte vecchia di Torrebruna in una manifestazione estiva e altrettanto lodevole far accorrere in “quel de la Torr” tanta tanta gente da fuori per una sagra. Rimangono comunque passi vani, fini a loro stessi: attirare i torresi, e non, per i vicoli di una Torrebruna abbandonata (dando la possibilità di assaporare i nostri prodotti tipici) si annichilisce come iniziativa quando la cornice del borgo antico, che dovrebbe fungere da fulcro centrale, non c’è.
Quando il borgo antico, che dovrebbe essere esaltato, si pone come un quadro spento, come un oggetto di valore posto in mostra nell’angolo di una sala poco illuminata: sarà difficile notarlo. Difficile come vedere migliaia e migliaia di gente che affolla le nostre strade per assaporare uno dei nostri prodotti tipici e trovarsi ad non avere risposta concisa e dettagliata alla domanda «Cosa possiamo vedere e quale percorso ci consiglia?».
A questo punto, quindi, è da ammettere che in fin dei conti ne vale proprio la pena, vale la pena scommettere sul proprio paese e più che credere nell’amministrazione, aiutarla, orientarla, appoggiarla, perché qualsiasi amministrazione senza il coinvolgimento della comunità non può far nulla di buono. Non pensare quindi (come è tipico di noi torresi) che dev’essere l’amministrazione ad agire e che noi nulla possiamo.
In un periodo in cui la frenesia cittadina, lo stress del lavoro porta tutti a rifugiarsi nei piccoli centri per rilassarsi, quale occasione migliore per sfruttare l’unica cosa di cui noi torresi, soprattutto giovani, ci lamentiamo: il silenzio della nostra piccola Torrebruna. Sfruttarlo puntando sul nostro passato per ridare dignità a quella che era la Torrebruna dei nostri nonni, far si che le nostre case in pietra locale (quelle salvabili o scampate a cadute spontanee e anche a quelle volute dell’uomo) e che le piccole ruvarelle riacquisiscano anche solo formalmente la vitalità che una volta le distingueva, vitalità che è nei ricordi dei nostri nonni e che per noi divenga memoria da conservare.
Non so cosa si possa o si debba fare, ma una cosa è certa: se tutti o almeno i giovani rivolgessero un minimo di interesse a conoscere, a sapere, a informarsi o forse molto più semplicemente se tutti i torresi sapessero e cominciassero a condividere l’idea che Torrebruna non comincia alla Civitella e finisce in Piazza, ma che anche tutto quello che si sviluppa sotto Cima di Torre ne è parte integrante o meglio ancora se noi tutti cominciassimo ad entrare in una logica per la quale anche Torrebruna ha tanto da dare, forse rivaluteremo molto la nostra presenza qui e daremo ad altri la possibilità di saperlo.
A conclusione, sono consapevole che ridare sfoggio a un centro del tutto abbandonato non è cosa facile, effettuare un restauro conservativo lungo tutti i vicoli (che sia solo formale non comportando un totale riutilizzo degli edifici) non è realizzabile dall’oggi al domani, come ridare lustro ai vecchi percorsi in pietra locale sarà altrettanto difficile da rendere reale, ma se a qualcuno questa estate verrà voglia di attraversarle quelle ruve con occhio critico, bhé, diciamo di essere sulla buon strada. L’impresa, anche se grande da realizzare, fatta a piccoli passi potrebbe rendersi reale. Certo con tutta la volontà che potremmo avere, dall’oggi al domani non riusciremo mai avere un borgo antico del tutto restaurato, ma se cominciamo a riportare movimento ed interesse lungo quelle ruvarelle (per esempio affittando case ancora integre a gente che viene da fuori o creare percorsi per una piacevole passeggiata che non siano tali solo una volta all’anno) il passo tra il volere qualcosa di più e il realizzare qualcosa di meglio sarà breve.
Sogno una Torrebruna che voglia essere vissuta e sogno una Torrebruna che non venga dimenticata. Conti alla mano le nostre possibilità sono: “l’acqua buona”, l’aria salutare, la tranquillità e ultima quanto fondamentale a perseguire le altre, la rivalutazione del nostro borgo medievale antico, che ha subito tante modifiche nel tempo ma che più di tutto sta scomparendo dietro il disinteresse di molti e che fra alcuni anni non esisterà più. Rendiamo il nostro passato la speranza del nostro futuro, proviamo a non rendere Torrebruna il prossimo paese fantasma sulla lunga lista presente in Italia.