Recruiter, è davvero lui che decide le carriere nelle aziende?

15/10/2025
Attualità
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Tra le professioni che hanno acquisito centralità negli ultimi anni, il recruiter occupa una posizione strategica, poiché è diventato via via quello che determina chi avrà accesso a un’opportunità professionale e chi no. Una responsabilità che, in un mercato del lavoro sempre più competitivo e frammentato, si traduce in competenze complesse e multidisciplinari.

La figura del recruiter, spiegano gli esperti, non si limita a leggere CV e fissare colloqui. La sua missione consiste nell’individuare i talenti giusti, interpretare i bisogni delle aziende, valorizzare le soft skills oltre alle competenze tecniche. In questo senso, la selezione del personale è diventata una vera e propria scienza, che integra strumenti digitali, psicologia del lavoro e strategie di employer branding.

Un aspetto cruciale riguarda certamente la capacità di valutazione, poiché già a monte gli viene richiesto di capire se un candidato saprà effettivamente inserirsi nella cultura aziendale, se possiede la flessibilità necessaria per affrontare cambiamenti rapidi, se ha il potenziale per crescere in futuro. 

Il recruiter è quindi chiamato a sviluppare sensibilità e strumenti per leggere oltre i dati oggettivi, cogliendo sfumature che spesso fanno la differenza e sono quasi impercettibili all’occhio comune.

La tecnologia, poi, ha cambiato ulteriormente il mestiere. 

Piattaforme di screening automatizzato, intelligenza artificiale e sistemi di tracciamento dei candidati hanno reso i processi più rapidi e accurati, ma richiedono nuove competenze per essere governati. 

La differenza non la fa l’algoritmo, ma proprio la capacità del recruiter di integrare i dati con l’intuizione umana, evitando che la selezione diventi un processo sterile e impersonale.

Questa figura professionale deve poi saper comunicare, fino a diventare il volto con cui i talenti percepiscono un brand. La qualità del processo di selezione, il rispetto dei tempi, la trasparenza dei feedback incidono direttamente sull’immagine dell’impresa. 

È per questo che le aziende più attente investono in figure HR che sappiano unire competenze tecniche e sensibilità relazionale.

Va da sé, che un ruolo così centrale non può improvvisarsi, ma deve tendere a quella formazione completa e continua che solo enti formativi operanti fianco a fianco con le imprese possono offrire, come 24ORE Business School e il suo Corso HR.

Accanto a un solido impianto teorico, il percorso offre, infatti, simulazioni di colloqui, role play, project work e casi aziendali reali, permettendo ai partecipanti di sperimentare concretamente le dinamiche della selezione, confrontandosi con scenari che riproducono le situazioni quotidiane di un recruiter. 

Ecco, allora, che un semplice corso di formazione diventa un trampolino per mettersi alla prova nella gestione di candidati, nel dialogo con i manager, nell’uso degli strumenti digitali di screening.

Il valore aggiunto sta tutto qui, nella possibilità di commettere errori e imparare da questi, in un contesto protetto, per arrivare pronti al momento in cui le decisioni avranno un impatto reale sulle carriere delle persone e gli errori dovranno ridursi al lumicino. 

Questo approccio formativo, fortemente orientato alla pratica, rappresenta un investimento concreto per chi aspira a inserirsi o crescere in ambito HR, dove la capacità di tradurre la teoria in azione è il fattore che distingue un buon recruiter da un professionista riconosciuto.

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