'Perché il Sud è rimasto indietro', le responsabilità delle classi dirigenti negli anni

Dibattito a Palazzo d’Avalos sui contenuti del libro del vastese Emanuele Felice

a cura della redazione
07/04/2014
Cultura
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VASTO - Spunti interessanti e dibattito vivace sabato pomeriggio, nella Pinacoteca di Palazzo d’Avalos, in occasione dell’incontro avviato sulla scorta di una recente esperienza editoriale, il libro Perché il Sud è rimasto indietro, scritto dal vastese Emanuele Felice, originario di Celenza sul Trigno.

Presenti, oltre al giovane autore, il sindaco di Vasto Luciano LapennaAlessandro Cianci Paola Pierucci, dell’Università 'G. d’Annunzio', e Berardino Cesi, dell’Università di Tor Vergata. A moderare gli interventi il giornalista Christian Lalla.

Cianci ha introdotto il tema del libro, ben chiaro già dal titolo, attraverso la sua analisi della storia d’Italia, sia dal punto di vista economico che sociopolitico, provando ad individuare le responsabilità di quella che lo stesso autore non esita a definire l’arretratezza del Sud. Come spiegato da Cianci, di solito due approcci si registrano: uno di tipo accusatorio, legato a presunte «differenze genetiche» o carenze strutturali del «capitale umano», e uno di tipo assolutorio, che tende ad imputare al Nord lo sfruttamento e quindi il disagio, anche e soprattutto attuale, del Sud. La tesi di Felice, ha spiegato Cianci, rigetta entrambi gli approcci, ma coglie spunti di riflessione utili da ognuno, arrivando non a contrapporre Nord e Sud, ma analizzando “da dentro” lo stesso Sud per evidenziare come le sue sorti siano state determinate da una classe dirigente che ha subito la sfida della modernità in termini passivi, piuttosto che accompagnarla attivamente; il tutto, allo scopo di conservare lo status quo, rispetto a rendite economiche e di potere personali, a tutto danno della maggioranza dei cittadini.

È stato poi lo stesso prof. Emanuele Felice a precisare come l’approccio passivo della classe dirigente del Sud alla modernizzazione abbia condizionato settori come l’istruzione, per coinvolgere anche reddito ed economia del territorio. Ed in questo percorso, tutt’altro che esaltante per il Meridione d’Italia, Felice individua anche quattro momenti importanti in cui la storia avrebbe potuto dare una sterzata decisiva verso la modernizzazione attiva; le quattro «occasioni perse» si riferiscono alle rivoluzioni del 1820-21, alla rivoluzione del 1848, allo shock dell’Unità d’Italia e, infine, all’istituzione della Cassa del Mezzogiorno. Occasioni tutte sfumate per un Sud che, ancora oggi, non riesce ad ingranare la marcia giusta. Per Felice non ci sono dubbi sulle responsabilità: una classe dirigente incapace e chissà se qualcuno tra i tanti politici presenti sabato a Palazzo d’Avalos nel sentire le sue parole si sia sentito per un attimo parte del problema, piuttosto che la soluzione di cui spesso si riveste.

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