Il serpentello che esce dal calice.
Non è S. Agostino ma S. Giacomo della Marca e oggi è la sua festa.
Il calice con il serpentello ricorda che a Napoli gli usurai tentarono di avvelenarlo. Come avevano fatto i mercanti a Efeso contro S. Giovanni Evangelista.
Proveniente dalla chiesa di S. Agostino di Venafro per molti anni era rimasto nei depositi della Soprintendenza. Poi finalmente fu esposto al pubblico con una iniziativa che rimane storica per la cultura regionale.
Certamente alla base della scelta iconologica vi è il tentativo di associare due santi che apparentemente non hanno nulla in comune se non la circostanza che ambedue abbiano subito il tentativo di avvelenamento.
Sulla sinistra vi è l’immagine di S. Giovanni Evangelista che si riconosce immediatamente per una serie di attributi che vanno dalla solita tunica verde con il mantello rosso, il suo Vangelo aperto nella mano sinistra e l’aquila del Tetramorfo che regge con il becco lo stilo usato dall’apostolo per scrivere. Sulla destra, invece, la figura di un santo francescano dal volto emaciato che regge un bastone pastorale mentre la mitra è a terra in segno si rinuncia all’episcopato, rivela che si tratti di S. Giacomo della Marca che fu celebre soprattutto per la sua lotta contro l’usura e per le sue ferventi predicazioni. L’immagine di un putto che regge un calice dal quale spunta una vipera spiega le affinità tra i due santi. Il calice con il serpente ricorda un episodio leggendario raccontato da Jacopo da Varagine nella Legenda aurea. Quando, qualche tempo dopo la crocifissione di Cristo, Giovanni giunse ad Efeso, gli orafi del tempio di Diana temettero che a seguito della sua predicazione avrebbero perso i loro affari. Aristodemo, gran sacerdote del tempio, impose allora a Giovanni la scelta di adorare Diana oppure di bere un calice di vino avvelenato. Giovanni scelse di bere il vino, ma avendo fatto un segno di croce sul calice, il veleno si trasformò in un serpente che scappò via. Così Giovanni bevve senza alcun danno e Aristodemo si convertì al cristianesimo. Giacomo era nato a Monteprandone nelle Marche nel 1394. Pastore e porcaio nell’infanzia, appassionato di medicina e giurisprudenza, dopo varie peripezie frequentò l’università di Perugia passando poi a Firenze e a Bibbiena. Nel vicino convento della Verna e poi a S. Maria degli Angioli maturò la volontà di darsi alla vita religiosa iniziando una peregrinazione che lo portò a predicare in varie parti d’Europa per tornare poi in Italia e raggiungere definitivamente Napoli dove morì nel 1476. Durante le sue lotte contro l’usura e gli usurai “la cui morte è desiderata da tutti”, dicono i suoi biografi, subì vari tentativi di avvelenamento dai quali, però, uscì sempre illeso. Questo è il motivo per cui gran parte degli artisti che lo hanno rappresentato hanno associato alla sua immagine il calice con la vipera, in analogia con l’episodio attribuito alla vita di S. Giovanni Evangelista. Non si conosce il nome dell’artista, ma in epoca immediatamente successiva alla esecuzione dell’opera il parroco Patrasso, che l’aveva commissionata a sue spese insieme a suo fratello Giovanni Stefano, nel 1709 fece aggiungere un’epigrafe di cui si legge a malapena: PAROCVS PATRASSO / EIVSQue FRATER IOAnNES STEPHANus / PICTOR SVmTIBus PROPRYS HOC SACellum / ERexRVnT ET RENOVArunt OMNIA CONVTA / A.D. 1709
Post Sriptum
ORA PER ALLORA.... Se i Santi non vengono a noi, andiamo noi dai Santi. Un breve viaggio iconografico tra i Santi delle chiese dismesse di Venafro 26 marzo 2008.Castello Pandone di Venafro. Direzione Regionale Beni Culturali: arch. Ruggero Pentrella. Allestimento: Soprintendenza del Molise – Coordinamento Emilio Izzo. Schede del catalogo: Franco Valente