Non c’è dubbio alcuno che le elezioni amministrative di domenica e lunedì siano state vinte dal centrosinistra e dal Pd lettiano, che ne è il motore. Ma, aggiungo, sono state vinte soprattutto dalla politica o con la politica, nel senso delle strategie politiche che a sinistra hanno saputo ben costruire, diversamente dai competitors.
Hanno perso sonoramente i 5 Stelle, impantanati, come sono, tra la prima strategia antisistemica della scatoletta e la seconda, governista, del tonno. Avevano trionfato quando si erano chiaramente collocati fuori da un sistema politico-economico in affanno con slogan di sobrietà e serietà, che affondavano nell’ultimo Berlinguer, giustamente recepiti nelle borgate abbandonate dal ceto politico progressista che si era trasferito nelle Ztl.
A Vasto, l’alleanza Carinci – Sinistra italiana, proprio nel segno dell’ ultimo Berlinguer, non ha aggregato forti personalità, che avrebbero dato caratura di massa al progetto, perché –ricordiamolo – le strategie del vecchio Pci non sono mai state elitarie.
Hanno perso i partiti, i candidati ed i leader del centrodestra, abituato alla strategia berlusconiana, mediatrice e paracula, capace di essere contemporaneamente poco europeista (amico di Putin) e garante dell’establishment (con Gianni Letta a Palazzo Chigi) e soprattutto in grado di risolvere personalmente i tanti problemi interni: non si dimentichi che il Cav. ha avuto a cena tutte i lunedì sera Umberto Bossi, dopo esserne stato sfiduciato nel ’94. Oggi a destra, con Berlusconi a fine corsa, non si sa chi comanda tra Salvini e Meloni, che al posto di contendersi i voti dei moderati fanno a gara per essere l’uno più estremista dell’altra. Beninteso strizzare l’occhio ai ceti deboli periferici ed al disagio sociale pandemico (che in questi giorni si va esprimendo nelle adunate triestine no green pass con la deprecabile repressione scelbiana, pardon draghiana) può portare consenso, ma dovrebbe essere rappresentato da una parte politica, con l’altra che punta al centro, in un mix concordato in cui si sappia chi è il leader: non funzionerà rinviare la scelta a dopo le elezioni, a meno che non si torni al proporzionale. Comunque la competitività Meloni –Salvini è alla base delle poco felici candidature civiche sconosciute e scelte a tavolino.
Del resto, questo si è visto anche nella vicina Vasto, dove la destra avrebbe potuto fare una scelta identitaria (Di Michele Marisi, se fosse toccato a FdI, o Alessandra Cappa, se fosse toccato alla Lega) o una scelta di prospettiva, alleandosi fin da subito con i dissidenti della sinistra, sia perché erano tali (e la sinistra si spaccava per la prima volta) e sia perché avevano espresso una candidatura di prestigio e di tradizione. Invece, l’identità è scattata a frittata fatta, su Guido Giangiacomo, la cui compostezza personale non è riuscita a coprire l’incapacità decisionale della coalizione storicamente alternativa.
Hanno vinto i partiti, i candidati ed il leader di centrosinistra, che stavolta hanno avuto il voto di Enrico Letta: non di Conte e men che meno di Renzi, anche se i voti raccolti da Carlo Calenda a Roma andranno ben studiati. Ed hanno vinto perché, come detto, la destra li ha fatti praticamente giocare a porta vuota. Tuttavia va rilevato che anche dove hanno avuto insidie interne, ne sono usciti alla grande. A Napoli hanno avuto contro un padreterno come Bassolino e l’hanno saputo rendere innocuo facendo l’accordo coi 5 Stelle su un ministro del Conte II. E’ probabile che Enrico Letta lavorerà distribuendo incarichi, per far rientrare i noti dissapori con Renzi e Calenda (fuoriusciti dal Pd), mentre ha già detto che l’alleanza con i % Stelle di Conte non si discute. Ovviamente si tratta di un Conte moderato e non borgataro.
A Vasto ha vinto nettamente Francesco Menna. Gli avversari più incazzati dicono che ha vinto per il clientelismo, che sicuramente c’è. Ma c’è anche stata anche presenza amministrativa costante nei gangli sociali: tanto per fare un esempio, la più votata del Pd, Anna Bosco, l’ho incontrata tutte le volte che ho partecipato a iniziative nelle scuole vastesi. Ci sono poi stati, come abbiamo visto, gli errori della destra. Ma credo che ci sia da fare anche un ragionamento più complesso, puramente gramsciano, legato ai 20.000 residenti che sono arrivati a Vasto dall’era prosperiana, quando la Dc prendeva il 63%. Si tratta di ceti operai e del ceto impiegatizio, che nei Comuni interni di provenienza erano di centrosinistra e tali sono restati a Vasto, anche per strategiche candidature messe in campo. A proposito delle quali va rilevato che la seconda lista più votata a sinistra è stata promossa da imprenditori vastesi, a dimostrazione che la coalizione di Menna è veramente interclassista.