GIANNI PRACILIO CI HA LASCIATO

IL MIO RICORDO DI LUI AL BAR ROMA NEGLI ANNI '80

Orazio Di Stefano
08/05/2022
Attualità
Condividi su:

Era il 1980. Noi nati negli anni sessanta, Giancarlo Cilli, Giuliana Giuliana Trivilini, Massimo Angiolillo ed io entravamo nella Fgci. E loro, nati il decennio precedente, uscivano: Peppino Torricella, Gabriele Marchese, Vitale Chioditti, Mario Di Giacomo, Dario Ruggieri, Arnaldo Mariani, Peppino Pracilio e suo fratello Giovanni, che oggi ci ha lasciato. Quando ho letto il messaggio scrittomi dall’altro suo fratello, Claudio, mi sono tornati in mente quegli anni e quella comitiva.

Erano gli anni in cui, per dirla con Antonello Venditti, alla 10,30 tutti al bar dove Nice e Marx si davano la mano. Nel nostro bar Nice non c’era; c’era solo Marx. Era il bar di Alfredo, zio di Giovanni, oggi Caffè Roma. Ora, come allora, all’inizio di corso Garibaldi, a 10 passi dalla sezione comunista, che stava in piazza San Vitale, accanto alla prima agenzia Unipol di Donato Di Rito, a 30 passi dal Gruppo di Base che stava tra via della Fontana e via Savoia e a 50 passi dalla sezione socialista che stava più su, sempre su corso Garibaldi, con di fronte l’Alleanza contadina. Insomma il bar di Alfredo era il crocevia dove operai, contadini e giovani (“intellettuali” perché erano i primi che andavano alle scuole superiori rispetto alla generazione precedente) costruivano movimenti, scioperi, congressi, insomma facevano militanza attiva.

Il bar, quel bar, era il luogo dove si passava prima delle riunioni e dopo. E dove si continuava a parlare di politica, del mondo che volevamo cambiare, della cooperazione per noi modello alternativo di sviluppo economico e anche di calcio…un calcio, però, diverso, un calcio “di massa” che noi stesso praticavamo ai tornei dell’Arci, in cui pure il bar di Alfredo “faceva” la squadra, chiamandola ovviamente Stella Rossa, che si scontrava con altri bar ed altri giovani più o meno ideologizzati di noi.

Nel bar di Alfredo ho conosciuto Gianni Pracilio e la sua comitiva, l’ho frequentata coi suoi cugini Floriano ed Ivano, ed ho imparato tante cose, non solo quelle della politica. Loro erano più grandi di noi. Già lavoravano mentre noi studiavamo ancora. Se c’è una cosa che posso dire di aver ereditato da quelle esperienze di gioventù, da quel gruppo di compagni ed amici è il rispetto della parola data. Da loro fregature non le prendevi ed ovviamente non potevi pensare di farle, perché era l’ultima generazione della società solida: quella dove prendere un impegno professionale o sentimentale, politico o sportivo era una cosa seria.

Poi, come spesso accade nella vita, Gianni ed io ci siamo persi di vista, anche se ogni volta che andavo alla Eurortofrutticola ci fermavano a raccontarci di noi, delle nostre famiglie e del mondo che ci cambiava attorno e che non eravamo riusciti a cambiare. Ma che di certo non era riuscito a cambiare noi. E la conferma l’ho avuto qualche anno fa quando con Angelo Pagano (altro giovane negli anni ottanta) abbiamo iniziato un esperimento di sociologia pratica da Claudio, fratello di Gianni. Li ho ritrovati quei miei vecchi amici, anzi ci siamo ritrovati come quarant’anni prima: con la stessa coscienza sociale, lo stesso rispetto per la parola data e il medesimo tormento interiore ereditato dalle nostre famiglie, un tempo povere, che per farci studiare e darci un futuro avevano dovuto sgobbare da mattina a sera, anzi a notte fonda. 

Ora Gianni non c’è più. Ma c’è il ricordo, anzi ci sono tanti ricordi dei molti discorsi fatti davanti al bar di Alfredo e nella sua Ritmo grigia da noi, giovani degli anni settanta ed ottanta, che volevamo una società più giusta. Un abbraccio a Claudio e a Peppino, ai cugini ed ai famigliari tutti.

Leggi altre notizie su IlTrigno.net
Condividi su: