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L’amicizia resta anche quando la ricchezza viene a mancare

Commento al vangelo

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18.09.2016 XXV DOMENICA FRA L’ANNO/C

Gli esempi di corruzione e disonestà di cui parla la Parola di questa Santa Liturgia, suggeriscono una riflessione sull’immoralità che imperversa anche tra noi. A leggere i giornali sembra che l’Italia sia sommersa dalle inchieste giudiziarie: (appalti pubblici pilotati, cricca di affaristi, furbetti del quartiere, reati di corruzione, concussione, peculato, truffe aggravate, frodi fiscali, l’invadenza poi dei mezzi di comunicazione mette subito in piazza con gusto sadico il peggio di quello che accade con conseguente emulazione).

Ogni giorno una nuova! E la maggior parte resta impunita! C’è, un pò dappertutto un’inimicizia alla legalità e al rispetto delle norme che regolano la società. Ogni giorno si scopre qualcosa. Quello che sconvolge è l’accettazione generale. Il mancato sdegno. Anzi, si arriva a lodare e a stimare i furbi che riescono a farla franca. Sperando prima o dopo di riuscirci anche noi! Prevale, purtroppo, la morale “fai da te”: è bene solo quello che conviene a me. “Sì, l’ho fatto, ma non l’ho sento come peccato”! E non ci si confessa neanche! La corruzione è un peccato mortale per chiunque la pratichi, la permetta, o la giustifichi! Appoggiata anche dalla pubblicità, avanza sempre più la morale del “siate voi stessi!”, che dice, arricchitevi: siate voi stessi! Liberatevi dai condizionamenti: siate voi stessi! Liberatevi dalla moglie/marito: siate voi stessi! Liberatevi dalla religione: siate voi stessi!

Abbimo sentito risuonare, oggi, il monito del Signore: “Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere!” (Am 8,7). Per noi cristiani è fondamentale la parola di Cristo: non possiamo servire Dio e la corruzione. San Gregorio Magno direbbe: “Un uomo ottimo, quando si corrompe, diventa pessimo”. Ricerchiamo, perciò, la giustizia, l’onestà, il rispetto delle regole. Abbiamo il senso dello Stato e della civiltà.

Non perdiamo mai di vista i veri valori e la dignità umana! “Tu quanto devi cento barili d'olio, siediti e scrivi cinquanta” (Lc 16,6). L’amministratore inizia una logica nuova: regala olio e grano. Regala vita e si serve del denaro del padrone per essere accolto, cioè per essere amato. Allo sfruttamento subentra il dono; l’accoglienza riscatta l’ingiustizia.

Proprio quest’accortezza è lodata da Gesù. Questo è già servire i disegni di Dio e non la logica di mammona. Anche Dio alla fine sarà accogliente, infatti, nelle braccia degli amici ad accoglierti ci saranno le braccia di Dio. “Procuratevi amici perché vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9). Fatevi degli amici: ciò che per tutti è la più umana, la più dolce delle soluzioni, ossia rendere più affettuosa la vita, perché un uomo così è già uno buono, forse già un uomo salvato.

Per Gesù, è certo che gli amici importano più dei soldi: essi sono la misura di una vita riuscita. Tutti siamo solo amministratori e neppure della vita siamo padroni, infatti, viene da altri e va verso altri. Ognuno ha dissipato i doni di Dio, i suoi talenti, ma, per fortuna, per tutti è tracciata la via del riscatto: fare il bene comunque.

Il bene è sempre bene, è comunque bene. Gesù, lodando l’amministratore disonesto, sembra insistere su questo concetto: anche se hai fatto il male, coprilo di bene, “l’elemosina copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8). Hai causato lacrime, ora rendi felice qualcuno. Hai derubato? Ora dona.

La strategia di Dio è unica: copri il male di bene, perfino con ciò che è servito a fare del male, “con la disonesta ricchezza” (Lc 16,9), perché il bene conta di più, una spiga di grano vale più di tutta la zizzania. “Non potete servire a Dio e a mammona” (Lc 16,13). Mammona è denaro idolatrato, vangelo deriso, “povero venduto per un paio di sandali” (Am, 8,6).

Il servo del denaro, prigioniero di una fortezza di beni ridicoli, grida al mondo: io ho, io accumulo, conto e riconto, accresco, moltiplico. Questo sì che è vivere, cautelarsi, vincere! Chi serve Dio, invece, dice piano: io sono vita che accoglie altra vita, legame amicale tra uomo e uomo, e i miei beni sono sacramento di comunione. Se si deve riconoscere un valore alla ricchezza, bisogna pensare al suo utilizzo per farsi degli amici. L’amicizia resta anche quando la ricchezza viene a mancare, perciò non conviene impegnare la nostra vita nell’accumulare ricchezze che sono destinate, comunque, a passare. Signore, nelle dimore eterne accoglimi, infedele ma amico, con le braccia di coloro, che avrò saputo rendere felici.

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