A cura di: Ufficio stampa Sorgente Genetica
Ogni anno, una donna italiana su 9, si ammala di tumore al seno. I sintomi tumore al seno non sono particolarmente evidenti e, probabilmente, questo è uno dei motivi per cui viene diagnosticato nelle sue fasi avanzate e rappresenta la malattia oncologica più frequente nella popolazione femminile1​​.
Il tumore al seno origina a seguito di una divisione sregolata delle cellule che si trovano nelle ghiandole mammarie. Queste cellule possono trasformarsi in maligne e diffondersi nei tessuti circostanti, metastatizzando.
Un tumore al seno può essere classificato in due modi: in situ o invasivo. La definizione di carcinoma in situ identifica la presenza di cellule tumorali all’interno dei lobuli e dei dotti mammari, ma queste in questo caso non hanno ancora intaccato i tessuti circostanti. Un carcinoma viene invece definito invasivo quando è avvenuta una diffusione e infiltrazione delle cellule tumorali nei tessuti circostanti, che ha portato ad una metastasi.
Un tumore al seno coinvolge più frequentemente le cellule lobulari (ossia legate alle ghiandole mammarie) o dei dotti lattiferi. Quest’ultima tipologia è la più diffusa e rappresenta circa il 70% dei casi di tumore2​​.
Sono stati identificati alcuni fattori di rischio che aumentalo le probabilità d’insorgenza di questo tipo di tumore:
- l’età . Le probabilità di comparsa del tumore al seno aumentano con l’avanzare dell’età . Tuttavia è stato rilevato che circa 60% dei casi di carcinoma mammario riguarda donne con meno di 55 anni;
- la familiarità . Avere un familiare con diagnosi di tumore al seno (o all’ovaio) aumenta le probabilità d’incidenza intra-famigliare di queste neoplasie;
- alcune mutazioni genetiche. Per esempio, mutazioni sul gene BRCA sono state associate alla comparsa di diverse forme di tumore al seno e all’ovaio. Le donne con una mutazione a carico di BRCA1 o BRCA2 hanno un aumentato rischio di sviluppare un tumore alla mammella o all’ovaio.
Quando si parla di tumore, la diagnosi precoce è fondamentale per aumentare le probabilità di sopravvivenza. È stato dimostrato che quando un tumore alla mammella viene individuato al suo stadio zero, ossia in situ, la probabilità di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi delle donne trattate raggiunge il 98%3​​.
Per prevenire questo tumore è dunque fondamentale sottoporsi a test e visite di screening. Come prima buona abitudine per prevenire il tumore alla mammella, si può innanzitutto effettuare un autoesame di palpazione del seno, che consente nel rilevare la presenza di noduli, secrezioni, dolore al seno o altre anomalie. A questa pratica è ovviamente essenziale associare controlli periodici con un medico specialista in senologia, che attraverso la palpazione ed esami specifici può rilevare eventuali anomalie.
Per avere una diagnosi precoce sull’eventuale predisposizione genetica al tumore al seno e all’ovaio è possibile effettuare un test genetico, volto a rilevare l’eventuale presenza di mutazioni sul gene BRCA che aumenta la predisposizione a sviluppare queste forme di tumore. Questo test lo si effettua tramite l’analisi del DNA estratto da un campione di saliva o di sangue della paziente4​​.
Tra gli altri esami di screening per la diagnosi precoce del tumore al seno troviamo l’ecografia, che consiste in una scansione dei tessuti mammari per rilevare la presenza di eventuali noduli o cisti, e la mammografia che è considerato l’esame più affidabile per rilevare gran parte delle tipologie di tumore mammario nelle loro fasi inziali, quando le lesioni sono così piccole che è difficile evidenziarle con la palpazione.
Per saperne di più sui test genetici per il gene BRCA per la predisposizione al tumore al seno e all’ovaio visita: www.brcasorgente.it​
Fonti:
- ​I numeri del cancro 2014 – pubblicazione a cura di Aiom, Ccm e Artum
- Nastro Rosa 2014 – LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori)
- Airc – Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro
- Campeau PM, Foulkes WD, Tischkowitz MD. Hereditary breast cancer: New genetic developments, new therapeutic avenues. Human Genetics 2008; 124(1):31–42