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CI LASCIA PURE VITALE RASPA

E San Salvo si scopre una comunità... ferita

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Non si è ancora spenta l’emozione suscitata dalla morte di Nicola D’ Addario, che un’ altra ferale notizia colpisce la città di San Salvo e il suo comprensorio. Nel tardo pomeriggio del 21 gennaio ci lascia Vitale Raspa, noto imprenditore commerciale, titolare del supermercato di Via degli Oleandri, ma soprattutto (e come Nicola, con cui aveva condiviso la stanza d’ ospedale) amante della vita e pieno di relazioni amicali.

Uno dei primi post lo fa Antonella Schiavarelli, che ricorda i momenti della sua infanzia a Via dello Stadio, dove Vitale “è stato una presenza costante” . Poi la notizia inonda siti e social. Arrivano quasi insieme i messaggi del sindaco Magnacca, che definisce San Salvo “città ferita. Colpita al cuore” e dell’ assessore alle attività produttive, Tonino Marcello, che affianca le foto di Nicola e Vitale.  Scrivono quindi centinaia e centinaia di cittadini, noti e meno noti, che esprimono la tristezza, lo sgomento e il dolore per la morte di Vitale.

Fa riflettere che moltissimi lo abbiano salutato come “uno che ha fatto la storia di questa città”, cosa certificata dall’ex sindaco Tomeo, che ha scritto: “Vitale Raspa ha contribuito alla crescita economica di questa città”, riferendosi ovviamente alla crescita dell’ ultimo mezzo secolo.

Sulle (lontane) origini di San Salvo si sta ancora riflettendo. Essa non ha nobili, poeti e navigatori come simboli nei quali proiettarsi, quindi attinge alle persone e personalità del vissuto recente o contemporaneo, nei quali si identifica e li ritiene, giustamente, costruttori. Costruttori della comunità che siamo e soprattutto partecipi dell’ identità collettiva, che è fondata su più valori. Ed uno di questi è la laboriosità, che lo stesso Tomeo utilizza per raccontare Vitale, sia pure in modo sintetico.

Il benessere di oggi è dovuto alla crescita economica e la crescita alla laboriosità. Nell’ immaginario collettivo si ricordano ancora la piccola casa o il piccolo negozio di prossimità, poi diventati un palazzo con tre -quattro appartamenti per i figli o un supermercato. Quando questi immobili vengono costruiti non scatta l’invidia, neanche nei monoreddito, perché il successo singolo viene vissuto come un successo collettivo.

Si tratta di un successo dovuto al lavoro, al sacrificio, all’ ingegno, all’ unione della famiglia, tutta coinvolta e mobilitata verso la mission che ci si è dati.  Ciò diventa per la città un successo che suscita orgoglio ed identificazione, perché si è felici se “uno di noi” ce l’ha fatta. Ma la condizione è che appunto si tratti di uno di noi. Ossia di uno che lavora e non approfitta degli altri, che parla il nostro dialetto, non si monta la testa. Di uno che se ti può aiutare, ti aiuta. Vitale era cosi. Conosciuto da tutti, educato con tutti, non negava mai un sorriso a nessuno. Viveva in mezzo alla persone (non clienti). Aveva bisogno di parlare, sentire, confortare e farsi confortare dagli altri. Insomma, un vero attore sociale.

Dobbiamo dirlo francamente: anche i commercianti, come Nicola e Vitale, sono una categoria esposta al covid. E se i medici non possono sottrarsi dai contatti umani, loro, i commercianti e gli artigiani, non riescono proprio a sottrarvisi. Parlare, sentire, confortare per un commerciante è pratica di vita irrinunciabile: il lavoro diventa vita e la vita è fatta di mille incontri veri e non virtuali. Morire di covid per chi vive di relazioni è morire sul campo.

Con rispetto e deferenza, quindi, salutiamo Vitale ed abbracciamo la sua famiglia, perché se oggi siamo la  comunità che siamo lo dobbiamo anche a lui e se siamo feriti e colpiti al cuore, come ha detto il sindaco, è per ciò che ho cercato di spiegare.

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