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CENTENARIO DEL PCI (3)

L' editoriale (orgoglioso) di Dario Leone

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Il 21 gennaio del 1921 nasceva il Partito Comunista d’Italia sulla spinta di quella grande Rivoluzione d’Ottobre che per la prima volta nella storia dell’umanità consegnava tutto il potere politico nelle mani dei lavoratori. È questo un evento che ha segnato profondamente le sorti degli sfruttati e dei più deboli in tutto il globo. Dall’abolizione del lavoro minorile alla giornata lavorativa di otto ore; la formazione scolastica universale e l’inizio della lotta all’analfabetismo; il ruolo attivo delle donne con la nomina a Ministro per la prima volta nel mondo di Aleksandra Michajlovna Kollontaj; la funzione totale dello Stato come ridistributore di ricchezza che ha permesso l’azzeramento della disoccupazione (ritenuta uno status illegale) e la nascita dei più avanzati sistemi di istruzione e di sanità del mondo che, lì dove sono rimasti tali, hanno mostrato la manifesta differenza nella gestione della pandemia dalla quale i nostri arretrati Paesi Capitalisti non sono ancora usciti. Se i diritti civili nascono con la Rivoluzione Francese, quelli sociali si affermano con quella dell’Ottobre 1917. Sorgono, dunque, due visioni diverse di libertà: quella dallo Stato (propria della borghesia capitalistica) e quella dal bisogno (propria del Socialismo). Nella prima libertà lo Stato è appunto pressocché assente lasciando spazio al libero mercato e i deboli vengono lasciati al loro infausto destino, nella seconda invece lo Stato è protagonista assoluto perché si fa carico di superare per tutti la condizione di bisogno. Vien da sé che la prima libertà è appannaggio di pochi nei confronti di molti (perché la ricchezza si concentra nelle mani di una sparuta minoranza) e nella seconda è appannaggio di molti nei confronti di pochi (perché tale ricchezza viene appunto distribuita a ciascuno in base ai propri bisogni e capacità). Per la prima volta, nasceva uno Stato i cui leader e personaggi di spicco erano figli di contadini, ciabattini e carpentieri. Nel corso della Guerra Fredda tanti sono stati gli esperimenti di “fusion” tra i due sistemi: la socialdemocrazia, l’eurocomunismo, il socialismo democratico. Tutte ipotesi naufragate. Il Partito Comunista Italiano con Palmiro Togliatti tentò di percorrere la “Via italiana al Socialismo” ritenendo che attraverso le elezioni borghesi, si potesse arrivare ad un Socialismo diverso e comunque efficace. Chi scrive, Direttore, si è sempre posto nell’ala minoritaria del PCI avendo come punti di riferimento Pietro Secchia prima e Armando Cossutta poi. Pertanto è chiara la mia posizione filosovietica che non nascondo ma anzi, rivendico. Tuttavia, al di là delle mie idee (che sono quelle del Partito nel quale milito), i conti e le riflessioni devo farli inevitabilmente dentro il perimetro di quelle che sono state le scelte della maggioranza del PCI rivendicandole (malgrado le mie convinzioni non proprio in linea con quello che si è scelto e che è accaduto). La funzione del Partito Comunista Italiano, ha consentito alla classe operaia e lavoratrice di uscire da una spaventosa condizione di arretratezza dopo il Fascismo e questo grazie al ruolo determinante che i Comunisti italiani hanno avuto nella Resistenza e nella formazione dell’Assemblea Costituente presieduta da Umberto Terracini, tra i più grandi pensatori marxisti troppo in fretta dimenticati. Nel solco della “Svolta di Salerno”, abbiamo contribuito a dare vita ad una Costituzione Repubblicana che il mondo intero ancora ci invidia e che ha gettato le fondamenta di una società nella quale lo Stato ha svolto un ruolo centrale sull’economia e non viceversa. Sono stati proprio i tratti collettivistici a fare grande l’Italia e a porla tra le prime potenze industriali dell’Occidente garantendo una libertà d’impresa sottomessa alle esigenze del popolo favorendo la nascita della sanità universale e dell’obbligo istruttivo. Si sono confrontate per tutto il periodo della Prima Repubblica due idee del mondo diverse ma che tuttavia hanno avuto una funzione dirimente nel nostro Paese sul piano socio-culturale ed economico. Il PCI ha espresso la parte fondante delle personalità della scienza, del cinema, della letteratura e della musica producendo un diffuso “senso critico” secondo a nessun altro Paese d’Europa. Un Partito che è stato essenziale e direi determinante nella sconfitta del terrorismo politico e che ha svolto una funzione importante nella lotta alla mafia pagando dei prezzi alti fino alla propria esistenza come Pio La Torre, Placido Rizzotto e il demoproletario Peppino Impastato che pur militando in una forza politica diversa era anche lui un comunista. Il PCI è stato alla base della costruzione di uno dei welfare più innovativi che la storia dell’Occidente ricordi, fornendo una prospettiva a intere generazioni i cui figli per la prima volta entravano nelle università con la possibilità di emanciparsi delle umili condizioni dei genitori. Per la prima volta “il figlio dell’operaio diventava dottore”. Questa è stata la funzione storica del Partito Comunista Italiano a fronte delle persecuzioni poliziesche di Scelba, delle censure dell’informazione, dei complotti di Stato, delle logge massoniche eversive, dei patti con le monolitiche organizzazioni a delinquere parte dello stesso Stato borghese dell’Italia che ha avallato ogni misura riprovevole contro i comunisti pur non essendoci mai stato quel “pericolo rosso” che ha fatto la fortuna ininterrotta della Democrazia Cristiana. È proprio qui che si sbaglia il mio compaesano Filippo Sammartino, di cui ammiro con grande stima, la sua fervente passione politica, pur dentro una visione del mondo completamente opposta e inconciliabile con la mia. I rapporti tra il PCI e l’Unione Sovietica sono stati burrascosi a partire dalla svolta di Salerno di Togliatti (Nilde Iotti lo racconta in modo preciso e puntuale) con il suo culmine nello “strappo” di Berlinguer. In particolare quest’ultima “involuzione antisovietica”, ha segnato la nascita della prima ufficiale “corrente” interna al PCI capeggiata da Armando Cossutta il quale riteneva, tra le tante cose, che quella posizione di rottura netta, avrebbe avviato il partito ad una lenta ma progressiva mutazione genetica che è abbondantemente avvenuta prima con la formazione del PDS fino ad arrivare a quell’aborto della Sinistra italiana che oggi si chiama “Partito Democratico” che mentre la mattina ingloba nella sua maggioranza fascisti, xenofobi e democristiani ex Gladio, la sera commemora la nascita del PCI e di Antonio Gramsci che senza cure è morto di cancro dentro le carceri fasciste. Pertanto la storia ci dimostra ampiamente come le scelte del PCI si siano evolute verso una distanza dall’URSS sempre più rilevante fino a portarlo a una abiura che molti di quelli che come me ancora oggi sono orgogliosamente comunisti, è ritenuta inaccettabile. Ma la questione che più mi preme sottolineare è il richiamo che il giovane forzista ha fatto in merito alla oscena risoluzione europea che tout court allinea sullo stesso piano i totalitarismi producendo una indegna equiparazione tra Nazismo e Comunismo (votata senza vergogna anche dal PD). Lei, gentile Direttore, è come me un Sociologo e ricorderà molto bene due principi base della nostra disciplina: il primo è che nessun sistema sociale al mondo è capace di non produrre vittime; il secondo è che non si può mai scientificamente (e dunque culturalmente e politicamente) equiparare una struttura con una sovrastruttura. Partiamo da quest’ultima questione. Il Nazifascismo è una “sovrastruttura” del Capitalismo il quale è una struttura (cioè il sistema sociale dominante in una porzione di mondo). Il Comunismo, ed è qui l’errore del giovane forzista, non è una sovrastruttura del Socialismo il quale è anch’esso una struttura (cioè il sistema sociale che dominava nell’altra porzione di globo), ne è invece un principio valoriale come per il Capitalismo lo è ad esempio il cristianesimo. Pertanto non è possibile rapportare il Nazifascismo al Comunismo né tanto meno al Socialismo. Quest’ultimo in quanto “struttura” e quindi “sistema”, può essere preso come unità di misura analitica solo se rapportato al Capitalismo perché condivide esso solo, lo stesso status di “struttura”. Per questo la risoluzione europea è scientificamente inaccettabile e se vogliamo anche risibile. Ebbene, paragonando i due sistemi, essi si rivelano due tipi diversi di dittatura: il Socialismo è la dittatura del proletariato e il Capitalismo è la dittatura dei ricchi. Riprendendo quello che dicevo all’inizio di questo articolo, il primo è la dittatura della maggioranza (cioè di quelli che lavorano) la seconda è la dittatura della minoranza (ovvero dei capitalisti che vivono del lavoro altrui). Ora, venendo al secondo punto, non esiste sociologicamente un sistema che non produce vittime. Il caro Filippo, si è mai posto la questione che se 12 persone detengono il reddito di tre miliardi e settecento milioni di individui, accumulando una ricchezza infinita, la privano al resto della società producendo morte, indigenza e devianza? Quante guerre economiche hanno fatto gli Stati Uniti d’America per accaparrarsi le materie prime di popoli ridotti alla fame? Quanti loro cittadini muoiono ogni giorno perché privati dell’assistenza sanitaria? Quanti micro dittatori africani gli USA continuano a finanziare foraggiando la fame nel mondo? Quante multinazionali americane si sono insediate nella Repubblica del Congo producendo la morte di 14 bambini al giorno costretti a lavorare 12 ore per un quarto di dollaro? A quanto ammontano i morti emersi dalle loro “sovrastrutture” in Cile, Argentina, Spagna, Grecia, Italia e Germania? Come mai non si parla più della battaglia di Algeri, nella quale la Francia capitalista ha sterminato poco più di un milione di algerini? Come mai gli attuali campi di concentramento libici continuano a sfornare cadaveri davanti all’indifferenza della Comunità Europea? Quanti sono i morti per i disastri ambientali prodotti da un sistema che non si pone lontanamente il problema di uno sviluppo compatibile? Quanti sono i suicidi di persone alle quali è negato un futuro nel proprio contesto sociale? È forse moralmente accettabile che i popoli odierni vivano nel costante timore di non trovare un posto di lavoro e quando lo ottengono vivano nel terrore di poterlo perdere da un momento all’altro ipotecando la propria dignità? A quante persone il mondo capitalista nega l’istruzione? Quanti ospedali pubblici hanno chiuso per essere favoriti dalle cliniche private negando l’accesso universale alla cura? È mai tollerabile che la mia generazione vada in pensione a 70 anni con meno della metà di ciò che guadagnava nell’attività lavorativa? Ma siamo liberi di dire ciò che vogliamo dietro un microfono o su un post sui Social almeno finché non diventiamo influenti o determinanti. A quel punto arrivano presidenti autoproclamati o i servizi deviati. Se le elezioni fossero state vinte dal PCI cosa avrebbero fatto Gladio e P2? Allora non prendiamoci in giro. Il Capitalismo ha chiamato il suo sistema “democrazia” per il solo fatto che esistono “libere elezioni”. Ma se voto il PD o FI o Lega o M5S, tutti mi porteranno verso Bruxelles, Francoforte, la BCE e i mercati finanziari. In sostanza si sceglie solo la faccia del macchinista ma il treno va sempre nella medesima direzione. Nel Socialismo non saranno esistiti altri partiti al di fuori di quello comunista ma le elezioni popolari, all’interno del perimetro monopartitico, hanno consentito al popolo di scegliere quale direzione intraprendere. La Guerra Fredda ha visto lo scontro di due ideologie. Ha vinto una di queste e cioè il Capitalismo che ha riscritto la storia gettando il fango sul suo oppositore e stabilendo un piano di raziocinio occidentale che ha normalizzato l’abnorme di cui siamo quotidianamente circondati, oppressi e afflitti. E così si parla di Stalin senza spiegare come sia possibile che l’URSS abbia avuto, durante il suo periodo, tutti i morti che gli sono stati attribuiti mentre la popolazione sovietica (con censimento monitorato dalle autorità internazionali), aumentava numericamente come nessun’altra nazione al mondo incrementando a dismisura l’aspettativa di vita e un PIL vertiginoso che si è mantenuto stabile addirittura anche nei primi anni del dopoguerra. Come mai sui libri di storia non troviamo più le “eroiche” gesta del Presidente Truman che nel giro di cinque minuti ha prodotto in Giappone lo stesso numero di morti dei forni crematori nazisti?

Ebbene, mentre scrivo, le contraddizioni del sistema Capitalista, hanno già tolto dalla faccia della terra migliaia di individui. Non c’è sistema più barbaro di questo che si arroga il diritto di stabilire cos’è democrazia e cosa non lo è. Il PCI e l’URSS sono stai dei grandi argini contro l’espansione di un sistema autodistruttivo che fa del profitto una ragion d’essere che sovrasta la vita umana e annienta i principi dell’uguaglianza e della giustizia sociale. La fine di quella storia apre le porte a questo mondo nel quale la dimensione collettiva è annientata e l’uomo è sempre più solo, preda e schiavo dei propri montanti e insoddisfatti bisogni. Basti pensare alla gestione della pandemia. Mentre il Capitalismo di ogni nazione ha saccheggiato la sanità pubblica, rendendola quasi impercettibile, ha reso vulnerabile più della metà del globo terrestre. Cuba, una piccola isola massacrata da un embargo illegale, continua ad avere il più avanzato sistema sanitario del mondo a tal punto che, in piena pandemia globale, ha avuto la forza di privare la sua sanità pubblica di centinaia di medici per inviarli in Paesi “nemici” e aiutarli ad affrontare ogni difficoltà. Una cosa inimmaginabile per i nostri Paesi occidentali. Avremo perso la Guerra Fredda, ma abbiamo vinto quella pandemica con l’umanità che ci contraddistingue. Se non ci fossero stati il PCI e l’URSS, oggi il mondo sarebbe un grande campo di sterminio nazista senza alcuna tutela e l’Italia sarebbe ancor più iniqua di quella che già è. Ma oggi il PCI e l’URSS non ci sono più e il mondo è diventato ancor più ineguale, disumano e belligerante. “Il Giornale” di Sallusti titolava “100 anni dalla parte sbagliata”, io dico, parafrasando Brecht, “ci siamo seduti dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano stati occupati” ed io e altre centinaia di compagni e compagne, continuiamo a stare seduti sempre lì sapendo che ciò che è torto per il Capitalismo, è l’unica vera ragione per cui vale la pena combattere a testa alta, celebrando i cento anni dello strumento che ha dato forma ai valori umani più alti e nobili con l’orgoglio, l’immenso orgoglio di dirci con convinzione senza abiura alcuna, ancora e sempre, Comunisti!

 

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