Partecipa a IlTrigno.net

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

PERCHE’ CELESTINO SI DIMISE? Il contributo di Franco Valente

Condividi su:

"Celestino V, fu un papa scomodo in un momento complicato della Cristianità". A Isernia pare che l’unico problema sia quello di rivendicare i natali di Pietro Angelerio, poi divenuto papa con il nome di Celestino V. Nei fatti non si sa manco esattamente quando sia nato. Ci si è orientati a stabilire che egli abbia visto la luce otto secoli fa intorno 1210. Gran parte degli storici più autorevoli ritengono che sia nato a S. Angelo Limosano anche se, per una serie di fatti, Pietro Angelerio, durante la sua vita, ebbe una particolare attenzione per Isernia.

La disputa sulle origini di questo personaggio, che è stato protagonista di fatti straordinari che hanno cambiato il corso delle storia della Cristianità, ha fatto perdere di vista l’interesse alla conoscenza dei contesti politici e religiosi in cui la sua lunga avventura umana si è sviluppata.

In occasione delle celebrazioni dell’VIII centenario della nascita la “Società Per la Protezione dei Beni Culturali del Molise”, presidente Isabella Astorri organizzò una serie di incontri di cui, come accade spesso nel Molise, non è rimasta purtroppo traccia. Uno di essi si tenne a S. Angelo Limosano grazie all’ospitalità del sindaco di allora Luigi Sansone.

Questa la sintesi del mio contributo.

Celestino V, un papa scomodo in un momento complicato della Cristianità"

I motivi di un conflitto tra Celestini e Benedettini

Il pretesto per parlare di Celestino V è la fuga da Montecassino di Nicola di Frattura nella settimana compresa tra il 18 ed il 26 ottobre 1294 quando Pietro Angelerio, mentre si spostava, appena eletto papa, da Collemaggio a Napoli decise di fermarsi nell’antico monastero dove, dopo avervi nominato abate un monaco della sua congregazione e dopo avervi incardinato ben 50 monaci celestini, ordinò alla comunità benedettina di dare tutte le proprietà ai poveri e di indossare un saio biancastro di lana grezza in luogo dell’antico abito nero.

Personalmente attribuisco agli avvenimenti di quella settimana, di cui troppo poco si parla, il motivo scatenante della successiva decisione di lasciare il soglio di Pietro. Una vera e propria abdicazione senza aver ottenuto sul piano pratico nulla di quello che egli si proponeva, lasciando una Chiesa che fu facile preda di chi, già prima della sua elezione, aveva inutilmente tentato di prenderla facendosi eleggere papa.

E per capire cosa sia avvenuto in quei giorni dell’ottobre 1294 dobbiamo necessariamente disegnare il contesto in cui si presero quelle decisioni.

Per fare questo è utile tornare indietro di qualche anno per vedere, sinteticamente, cosa accadeva nel monastero di Montecassino in conseguenza di quegli avvenimenti politici e militari che avrebbero sconvolto tutta l’Italia meridionale.

Nel 1250 era morto Federico II lasciando l’impero al figlio naturale, Manfredi che ne divenne titolare dopo la morte del fratello Corrado. Manfredi si era opposto al tentativo militare di papa Alessandro IV di estendere il dominio della Chiesa a tutto il meridione italiano.

Perciò, quando all’incoronazione del re svevo a Palermo partecipò in prima persona l’abate di Montecassino Riccardo, il papa si affrettò a scomunicarlo e a dichiararlo decaduto il 10 aprile 1259.

Ma Manfredi, nonostante la decisione papale, assicurò a Riccardo il mantenimento della sua funzione nel cenobio cassinese. Cosa che riuscì a fare fino alla sua morte nel marzo del 1262. L’elezione del suo successore Teodino, dietro pressione dello stesso Manfredi sul Capitolo cassinese, fu annullata da papa Urbano IV che continuò a contrastare la politica sveva.

Le cose nell’Italia meridionale si andavano complicando anche per le interferenze dirette del papato che nel 1263 si accordava con il re francese Luigi IX perché la Sicilia fosse data al fratello Carlo d’Angiò. Contemporaneamente il papa assicurava una presenza francese all’interno del monastero affidando l’abbaziato a Bernardo Aiglerio, monaco cistercense di Savigny e già abate di Lerins.

Aiglerio, però riusciva a prendere possesso di Montecassino solo tre anni dopo, all’indomani della definitiva sconfitta mortale di Manfredi a Benevento e il conseguente allontanamento di Teodino dall’abbazia.

Insomma, la gestione di Montecassino veniva ricondotta nell’ambito degli accordi tra Carlo d’Angiò e papa Urbano IV.

Ma non è questo che a noi interessa, quanto piuttosto la politica interna che caratterizzò l’abbaziato di Aiglerio e che, in qualche misura, possiamo considerare il motivo scatenante di quello che sarebbe accaduto circa un quarto di secolo dopo, nell’ottobre del 1294, al passaggio di Celestino a Montecassino.

Aiglerio viene ricordato per aver scritto un trattato di ascetica (speculum monachorum) e un commento all’antica Regola di S. Benedetto.

Ricorda Mariano Dell’Omo (Montecassino – Un’abbazia nella storia, Montecassino 1999):

“Aiglerio attese in modo particolare ad una fondamentale riorganizzazione patrimoniale della Terra Sancti Benedicti, mediante delle inchieste formali (inquisitiones), condotte con lo scopo di una ricognizione di tutti i diritti e servizi dovuti all’abbazia cassinese dalle Universitates o dai singoli abitanti della Terra Sancti Benedicti, i cui risultati furono verbalizzati in appositi registri.”

L’iniziativa dell’abate Aiglerio è considerata di particolare rilevanza nella storia del diritto italiano e viene presa come riferimento nelle considerazioni sulla natura giuridica dei cosiddetti “polittici” (cioè i registri su quali venivano riportati i dati significativi delle proprietà).

Una vera e propria riforma interna che doveva costituire la base per la definitiva consacrazione all’abbazia delle proprietà immobiliari e dei diritto che ne conseguivano.

In questi anni si procedette all’accertamento reale dei confini delle proprietà, al calcolo preciso dei censi dovuti, alla definizione dei diritti e dei doveri dei concessionari, alla trascrizione dei contratti.

Proprio mentre questa sostanziale conferma dei diritti dell’abbazia sulle proprietà che storicamente le appartenevano si stava concretizzando, appare sulla scena della Chiesa Celestino V.

Per capire la diffidenza che la comunità cassinese ha mantenuto nei suoi confronti ci è utile la ricostruzione dei fatti elaborata dall’abate Luigi Tosti, uno dei massimi storici di Montecassino, che nel 1843 dette alle stampe la sua voluminosa opera Storia della Badia di Monte-Cassino dall’anno di sua fondazione fino ai nostri giorni.

A Montecassino, dunque, Pietro Angelerio si convinse che sarebbe stato impossibile scardinare quell’organizzazione della Chiesa che nei Benedettini vedeva i più convinti e potenti sostenitori che la sua sopravvivenza fosse legata alla sopravvivenza della proprietà fondiaria e alla loro gestione. Secondo il principio dell’ORA ET LABORA che, senza la proprietà fisica dei terreni, non sarebbe stato possibile attuare.

Per gli approfondimenti rinvio a questo link:

https://www.francovalente.it/.../a-s-angelo-limosano-il.../

 

 

Condividi su:

Seguici su Facebook