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Solennità dell’Immacolata Concezione

Commento al vangelo

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La solennità che stiamo celebrando ci si propone con un titolo in negativo: Immacolata, cioè non macchiata. Volendo definirla in positivo questa condizione di vita di Maria dobbiamo pensare alle parole con cui l’ha salutata l’Arcangelo: piena di grazia. Ecco, in positivo l’Immacolata: piena di grazia.  Nella lingua greca, poi, “piena di grazia” è una parola ancora più bella e più profonda. Dice: “Tu che sei stata avvolta, colmata e trasformata da sempre e per sempre dall’amore di Dio”.

Anche la primissima parola che è detta a Maria (resa nella nuova versione italiana con “rallegrati”, contiene anch’essa, in greco, il tema della grazia; sarebbe come dire: “Grazie a te, piena di grazia”, accentuando la sovrabbondanza della grazia che Dio ha profuso in Maria. Va bene anche quello che siamo abituati a dire in quella che quasi certamente è ancora la preghiera più comune e più frequente per tanti cristiani: “Ave, piena di grazia”. Perché “Ave” è il contrario di “Eva”. Quel “piena di grazia” è l'opposto di ciò che Eva ha fatto, come ci ha ricordato la prima lettura.

Eva, con Adamo, come tutti noi, voleva fare da sé, rifiutando, anzi sentendo come una schiavitù quel limite che è invece la grazia di Dio: il limite di essere sue creature. Così noi, più che creature, pensiamo di essere dei padreterni, per cui mettiamo al centro noi stessi, viviamo come se dovessimo stare qui per sempre, ci comportiamo come se fossimo gli unici, i primi e gli ultimi di questo mondo. Da qui ogni forma di egoismo, di sopraffazione, di prepotenza: tutto quello che posso fare, lo faccio. Come se non avessimo limiti.

E invece li abbiamo, eccome. Il limite della nostra fragilità (ci ammaliamo), il limite della nostra esistenza (moriremo, a un certo punto), il limite della nostra debolezza (quanti sbagli, anche senza volerlo). E proprio perché abbiamo dei limiti, abbiamo anche delle responsabilità: esattamente l’altra cosa che Adamo ed Eva respingono, scaricando la colpa l’uno sull’altra e, infine, sull’unico che non poteva a sua volta giustificarsi, ossia il serpente. Maria mostra cosa rappresenta essere pieni di grazia.

Al contrario di quanto ha fatto Eva: riconoscendo la grazia, ossia quel dono di Dio che siamo noi stessi, e gli uni per gli altri e poi lasciandoci guidare per mano da Dio, come Maria. Concretamente ciò significa due cose molto semplici: innanzitutto, stare di fronte a Dio, anziché fuggire da Lui, come Adamo ed Eva. Lo possiamo fare ogni volta che rientriamo nell’intimo di noi stessi, dove Dio ha posto la Sua impronta, anzi la Sua presenza. E lì semplicemente riconoscere quello che siamo: il limite profondo che ci caratterizza, il mistero che avvolge tutta la nostra vita; non un destino cieco, bensì un legame, rassicurante, con Dio. Stare davanti a Dio, spesso, anzi ogni momento.

Lasciarci illuminare, rasserenare, pacificare da Lui: per “riempirci” di grazia. In secondo luogo, aprirci continuamente alla realtà, alle cose come sono con uno sguardo positivo. Non pretendere, cioè, che la vita proceda come ho deciso io, perché ci sarà sempre qualcosa che me lo impedirà (i tanti limiti che ho in me e attorno a me); piuttosto accogliere ogni cosa che accade nella vita, ogni persona che incrocia la mia strada, ogni gioia e ogni dolore, ogni buon risultato e ogni sconfitta, come un dono, un’opportunità positiva, di cui rispondere, a Dio e agli altri. Chiediamoci ogni giorno: come posso vivere al meglio questa situazione in cui mi trovo? Questo signifca, in concreto, che sia Dio a guidarmi.

E Dio compirà anche in me quel prodigio compiuto in Maria, cioè, rendere possibile anche ciò che sembra impossibile, come trasformare il dolore in coraggio, la tristezza in speranza, la morte in una nuova vita. Basta ripetere ogni giorno un bel sì, semplice, umile, positivo a Dio, così da consentiGli di riempire anche noi di grazia, come ha fatto con Maria. 

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