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Vivere è l’infinita pazienza di risorgere

Commento al vangelo

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Va DOMENICA QUARESIMA A

(Ez 37,12-14; Sal 129; Rm 8,8-11; Gv 11,1-45)

 

Abbiamo appena ascoltato il Vangelo della risurrezione di Lazzaro.

Qual è il significato del nome “Lazzaro”: ospite, amico e fratello, insieme a quello detto dalle sorelle: “colui-che-Tu-ami”, possiamo aggiungere il nome di ognuno di noi.

Di Lazzaro sappiamo poche cose: era l’amico speciale di Gesù. Aveva due sorelle, Marta e Maria, una casa ospitale a Betania, che era uno dei luoghi preferiti da Gesù, un villaggio che si trovava sulle pendici orientali del monte degli Ulivi. Era distante circa 3 km da Gerusalemme, rappresentava l’ultima sosta per chi, provenendo da Gerico, saliva verso la città. Ad attendere Gesù, Marta, il “motore” della casa, mentre Maria, all’arrivo di Gesù, mollava sempre tutto per sedersi accanto a Lui e non perdersi neanche una parola di quello che diceva.

Questa volta Gesù, si trovava in Transgiordania, detta all’epoca Perea, e proprio lì lo raggiunse la triste notizia, da parte di Marta e Maria, della malattia di Lazzaro. Una malattia gravissima, a quanto pare, se le due ragazze reclamavano addirittura la presenza del Signore accanto al loro fratello.

Il comportamento del Signore spiazzò tutti. Ci si aspettava, infatti, che quella grande amicizia che c’era tra loro, spingesse Gesù a fare di tutto per andare a Betania; invece no. Quando il Signore sentì che (Lazzaro) era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea!”.

Dobbiamo sottolineare a questo punto un fatto importante: mettere piede in Giudea in quel momento significava avvicinarsi praticamente a Gerusalemme, cioè alla morte.

I discepoli gli manifestarono apertamente le loro preoccupazioni: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?…Disse queste cose e poi soggiunse loro: “Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato, si salverà”. Lazzaro, ormai era morto da quattro giorni.

Quando Gesù arrivò, le due sorelle erano circondate da persone addolorate e piangenti, che erano lì per le condoglianze. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

A causa di Lazzaro sono giunte a noi due tra le parole più importanti del Vangelo: “io sono la risurrezione e la vita”. Non “io sarò, all’ultimo giorno, in un’altra vita”, ma “qui, adesso, ora”.

Notiamo la disposizione delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita. Dovrebbe essere il contrario. Invece no: “Io sono risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell’uomo, il rialzarsi della vita che si è arresa”. Vivere è l’infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie nel cuore, lasciare che siano riaperte le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e ripartire di nuovo da capo: “scioglietelo e lasciatelo andare”. Verso la vita che rinasce, verso il Dio della vita.

Forse dobbiamo invidiare Lazzaro, non perché ritorna in vita, ma perché è circondato di gente che gli vuol bene fino alle lacrime. Perché, allora, la sua risurrezione? Per le lacrime di Gesù, per il suo amore fino al pianto, alla commozione.

Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce.

Liberatelo e lasciatelo andare, dategli una strada, amici, qualche lacrima e una strada da seguire.

Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte, anche noi, ci sentiamo morti, ci siamo arresi di fronte alle difficoltà, vediamo che è finito l’olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell’anima una voce ci dice: non m’interessa più niente, né Dio, né l’amore, né la vita.

E poi un seme ha cominciato a germogliare di nuovo, non sappiamo perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le nostre bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d’amore: un Dio innamorato dei suoi amici, di ognuno di noi, che si commuove, che non ci lascerà in mano alla morte. Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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