LENTELLA - «Dalla Regione Abruzzo e dal comitato Via ci dicano come voglio la cava, quali dimensioni deve avere e come dobbiamo realizzarla e noi procediamo immeditamente, salvando l’intero impianto di Lentella e tutti i lavoratori».
Alla viglia dell’incontro previsto per oggi pomeriggio presso il Municipio di Lentella, per fare il punto, insieme ai politici di zona, sull’annunciata chiusura del sito produttivo della Laterlite, è il vicepresidente dell’azienda, Corrado Beldì, a lanciare un segnale di disponibilità e di apertura.
Beldì sta seguendo, dopo la bocciatura del comitato Via all’ampliamento della cava di argilla, con preoccupazione gli sviluppi e soprattutto sta valutando le diverse opzioni da mettere in campo per tentare di salvare l’impianto di Lentella.
Il vicepresidente della Laterlite ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda.
Quello del Via è solo un preavviso di rigetto, non una bocciatura vera e propria. Come pensa di agire, la Laterlite, nel breve periodo?
«Abbiamo già incarito i nostri legali di valutare tutte le possibili contromisure da adottare. Il problema, a questo punto, è però la tempistica. Realisticamente abbiamo solo tre mesi per poter andare avanti con la produzione. Le scorte di argilla si esauriranno entro tre tre mesi e senza materia prima l’impianto non può funzionare, semplice. Ricorrere al Tar contro la decisione del Via comporterebbe una dilatazione dei tempi che allo stato l’impianto non è in grado di sopportare. Anche se ottenessimo una sospensiva, non abbiamo più argilla e non possiamo scavare per procurarcela. Presentare un nuovo progetto significa perde almeno altri otto mesi. L’unica cosa da fare è che la Regione Abruzzo e il comitato Via ci dicano chiaramente e in dettaglio come vogliono che sia la nuova cava. Perché il Via, voglio sottolinerarlo, non fa riferimento ad alcuna problematica ambientale, ma solo alle dimensioni e alle caratteristiche della cava. Ci dicano come vogliono la cava e noi la faremo, ma in tempi rapidissimi, perché altrimenti i danni per la produzione saranno irreparabili».
Quindi ci pare di capire che l’azienda è disponibile ad adeguarsi alle richieste del Via per poter continuare a produrre. Giusto?
«Certo, è evidente, ma ciò che è fondamentale è la tempistica. Devono dirci come adeguare la cava alle loro richieste in tempi rapidissimi. Ripeto: abbiamo scorte per soli tre mesi. Poi dovremo necessariamente fermarci. E fermare la produzioni ha dei costi enormi e coinvolge altri soggetti: i trasportatori, i clienti».
Si avrebbe un effetto domino, certo, ma scusi Beldì, intanto non potreste procurarvi l’argilla in altre cave, trasportandola da altre zone, in modo da garantire comunque la prosecuzione della produzione?
«Certo, potremmo, ma ciò comporterebbe un inevitabile aggravio di costi, quelli del trasporto. I maggiori costi avrebbero ripercussioni sul prezzo del prodotto finito e non riusciremmo più ad essere competitivi in zona. Nel medio e lungo periodo gli svantaggi sarebbero maggiori dei presunti vantaggi immediati, perché perderemmo tutto il mercato del Centro Sud».
Chiarissimo. Passando ad altro argomento, quello delle emissioni inquinanti dovute all’utilizzo di rifiuti pericolosi e non come combustibile, ci dica chiaramente, non potreste bruciare altro? Ad esempio dei combustibili più tradizonali, evitando di incenerire rifiuti speciali e pericolosi?
«Certo che potremmo, però non è questo il punto: la pericolosità di un rifiuto è una pura classificazione e non ha niente a che vedere con l’eventuale dannosità di emissioni scatenate alla combustione. Inoltre, utilizzando ad esempio carbone come facciamo nel sito produttivo di Enna, avremmo maggiori emissioni inquinanti, perché se non usi rifiuti non hai obblighi particolari sul trattamento dei fumi; dovremmo licenziare almeno dieci persone tra laboratorio, chimici, gestione rifiuti, e avremmo un costo superiore almeno del 30 per cento. Dovremmo così aumentare i prezzi, ma perderemmo mercato e nel medio periodo dovremmo chiudere perché non più competitivi: meno utili, meno investimenti, meno tasse, quindi faremmo danno all’ambiente, all’azienda e al lavoro. Andare a carbone-metano sarebbe inoltre una scelta anti-Kyoto. Perché farlo? Inoltre ho calcolato che i nostri conferitori dovrebbero mandare quei rifiuti in Germania, con un aggravio di costi, solo per trasporto, di circa due milioni e mezzo di euro all’anno, quindi anche loro sarebbero meno competitivi.In altre parole mi sta facendo la domanda che, a mio modesto parere, si augurano le ecomafie, pronte a “smaltire” quei materiali in modo illegale versandoli in mare, nei fiumi, nel terreno o in discariche abusive».
Chiaro anche questo. In chiusura, Beldì, dia un segnale di speranza ai lavoratori di Lentella.
«L’ho già detto e lo ripeto volentieri, c’è un solo modo di salvare l’impianto di Lentella: se dalla Regione ci dicono come dobbiamo fare la cava che ci hanno bocciato. Siamo pronti anche a ridimensionarla, ma ci dicano cosa fare, in tempi brevi. Se ci autorizzano, facciamo intervenire le ruspe e il sito è salvo».