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«Qui ci sono cittadini come voi, lo sapete?»

Presentato il libro “Fuoriclasse – vent’anni di scuola di giornalismo Lelio Basso” con Alessandro Leone, autore di un reportage sulle Case Lavoro

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«Il suo compito è additare ciò che è nascosto, dare testimonianza» scrisse del giornalismo Horacio Verbitisky, giornalista, scrittore, attivista per i diritti umani argentino. Pippo Fava definiva «senso etico» del giornalismo approfondire, far conoscere, denunciare, raccontare, allertare costantemente le istituzioni e smuovere le coscienze della società civile. 

Anche in questi anni particolari, difficili per questo giornalismo (che poi dovrebbe essere il giornalismo, l’unico), esistono esperienze, testimonianze, realtà che riescono a portarlo avanti. È giunta al ventesimo anno di attività la Scuola di giornalismo Lelio Basso, anniversario celebrato nell’unica maniera possibile: raccontando, pubblicando inchieste e reportage. Lavori confluiti nel libro “Fuoriclasse – vent’anni di scuola di giornalismo Lelio Basso”. Tra gli autori il giornalista cupellese Alessandro Leone che ha realizzato un reportage nelle Case Lavoro tra cui quella di Vasto.

Nella sala Giovanni XXIII in via Buonconsiglio a Vasto il libro è stato presentato da Alessandro Leone e Marina Forti, direttrice della Scuola di giornalismo Lelio Basso. Una presentazione in cui Alessandro e Marina Forti non si sono posti come protagonisti centrali, non hanno (come spesso accade nella presentazione dei libri) puntato su un’autocelebrazione issati su una cattedra. Hanno presentato raccontando, continuando a fare giornalismo, a dare voce a coloro che nel reportage sono stati protagonisti, hanno testimoniato quel che sono oggi le Case Lavoro. Raccontando quel che accade dietro quelle mura, un mondo sconosciuto e fin troppo segnato nella narrazione popolare da pregiudizi, preconcetti e ignoranze, testimoniando le difficoltà quotidiane e quelli che appaiono fallimenti dell’applicazione del dettato costituzionale, delle istituzioni e dell’intera società. Sono intervenuti Maria Lucia Avvantaggiato, direttrice della Casa Lavoro di Vasto, Anna Bosco, assessora alle politiche e all’inclusione sociale, Salvatore Cinquegrana, ex internato, Doralice Di Fabio, responsabile area sanitaria Casa Lavoro, Giuseppina Rossi, funzionaria giuridico pedagogica Casa Lavoro, don Silvio Santovito, Fattoria Vitafelice, e Anna Uras, ispettrice Polizia Penitenziaria Casa Lavoro.

Saluti istituzionali e prima riflessione dell’incontro affidati ad Anna Bosco, assessora alle politiche sociali e all’inclusione. Un intervento in cui sono state ripercorse le attività che coinvolgono la Casa Lavoro, progetti sociali come l’House first, sottolineando che diritti, giustizia, umanità, responsabilità collettiva sono parte integrante, o almeno dovrebbero, quando si affrontano tematiche inerenti il carcere e la vita dei detenuti. Vite negate da un “ergastolo bianco”, una sorta di fine pena mai che va oltre gli anni della detenzione, necessità basilari sociali che incombono nel momento in cui si finisce di scontare la pena giudiziaria. Tematiche ancora più pressanti quando si esce da una Casa Lavoro. «Un momento di grande riflessione, che ha messo al centro un tema spesso dimenticato: quello delle misure di sicurezza e della realtà complessa della Casa Lavoro di Vasto – ha sottolineato l’assessora Bosco - abbiamo parlato di diritti, giustizia e di quel “ergastolo bianco” che colpisce chi, pur avendo scontato una pena, resta intrappolato in un sistema che fatica a offrire vere alternative». «Grazie ad Alessandro per aver coinvolto il Comune di Vasto e per aver dato voce, attraverso questo libro, a chi voce non ne ha» ha concluso la delegata alle politiche sociali e all’inclusione. Quella voce spesso negata all’umanità, alla dignità degli internati. Fa riflettere, o almeno dovrebbe, una testimonianza di Giuseppina Rossi: accompagnando una scolaresca ha posto loro una domanda - «Qui ci sono cittadini come voi, lo sapete?» - che ha avuto come reazione stupore da parte dei ragazzi. Dietro quelle mura, nella Casa Lavoro, ci sono persone, vite. Dovrebbe essere scontato ma, purtroppo, invece va sottolineato, testimoniato, raccontato, ribadito. È continuamente negato. E lo hanno fatto con forza Salvatore Cinquegrana, ex internato, e don Silvio Santovito, parroco di Casalbordino e cappellano del carcere, testimoniando questi anni di attività della Fattoria Vitafelice. 

 

 

 

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