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Auschwitz: il giorno della Memoria o del Rimpianto?

L' editoriale del giovane Nicola Di Lisa

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A 76 anni dalla simbolica liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, nuovi studi propongono un quesito che suona come una forte accusa alle forze alleate: le stragi potevano essere evitate?

Nel 1943, negli States, l’agenzia Gallup fece un sondaggio: veniva chiesto se fosse vero che il regime nazifascista avesse sterminato 2 milioni di ebrei. Il 47 % rispose in maniera affermativa, il 29 % non credeva a questa affermazione, mentre il 24 % preferì l’astensione. La incredulità diminuì, naturalmente, negli anni successivi quando il sondaggio fu ripetuto anche in virtù di prove evidenti e incontrovertibili.

Il 27 gennaio 1945, infatti, le truppe sovietiche dell’armata n° 60 del maresciallo I. Konev, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz); qui scoprirono il campo di concentramento e liberarono i superstiti rimasti. Questa scoperta rivelò al mondo intero l’orrore del genocidio nazifascista. Per questa ragione l’ONU istituì nel 2005 la Giornata della Memoria; un’occasione per ricordare e soprattutto riflettere su uno dei momenti più bui della storia dell’umanità: l’Olocausto.

Di ciò che stava accadendo nei campi di concentramento si sapeva da tempo, probabilmente già dal 1942, eppure la macchina di sterminio nazista rimase in piedi. I binari continuarono a trasportare vita e storie. Milioni di uomini, scomparsi nel nulla. Nonostante l’aviazione alleata conoscesse il complesso di Auschwitz-Birkenau, non si decise mai di intervenire sull’area dello sterminio. Eppure, in molte testimonianze, si racconta dei rumori degli aerei a bandiera alleata sorvolare il campo; in tanti hanno sperato che solo uno di quei bombardieri colpisse per interrompere la catena di morte. Così non è stato. Oggi prevalgono i sensi di colpa di fronte al mondo per un mancato intervento che avrebbe dato alla vittoria finale uno slancio maggiore.

Tra queste testimonianze vi è quella di Piero Terracina, ebreo sopravvissuto allo sterminio di Auschwitz, che testimonia il passaggio dell'aviazione americana sul campo di concentramento; la sua speranza è che gli americani si decidessero a bombardare il campo.

Sia la libertà che la morte potevano arrivare dal cielo, per via di un ordigno.

Anche Shlomo Venezia racconta che spesso sentiva aerei avvicinarsi al campo; deportato ad Auschwitz nel 1944, era stato assegnato all'unità Sonderkommando, cioè al gruppo di detenuti obbligati a lavorare nelle installazioni omicide del campo (accompagnare le vittime negli spogliatoi, ordinare gli indumenti, tirare fuori i corpi, estrarre denti, capelli, gettare i corpi nei forni o nelle fosse comuni). Come testimonia Primo Levi, il passaggio degli aerei sul campo era vissuto con un prima e un dopo. Inizialmente era sentito come doloroso, ma necessario auspicio, solo in un secondo momento ci si fermava a riflettere sui pericoli della distruzione dei prigionieri stessi.

Nel febbraio 1979 il presidente statunitense Jimmy Carter pubblicò le copie di foto scattate da aerei alleati sul campo nel 1943; forte risuonò così l'accusa che il mondo sapesse e deliberatamente decise di rimanere in silenzio. Ma cosa si sapeva in realtà sul campo?

Coloro che hanno inviato messaggi, che hanno testimoniato durante il conflitto non sono stati tenuti nella dovuta considerazione; i loro racconti erano accolti con diffidenza, incredulità e scarsa diffusione. Non si poteva distogliere l'attenzione dalle altre priorità militari.

Jan Karski, esponente della Resistenza slovacca, nel suo libro “La mia testimonianza davanti al mondo” riferisce di quando, dopo la fuga dal campo di sterminio avvenuta nel 1942, fu ricevuto dal giudice della Corte Suprema Americana Felix Frankfurter ma l’incontro si rivelò inefficace in quanto non venne creduto riguardo al genocidio. Sulla lapide di Karski vi è scritto che egli fu il primo a informare sull'Olocausto quando ancora il conflitto era in essere.

Famoso, inoltre, è il rapporto di due ebrei slovacchi W. Rosenberg (Vrba) e A.Wetzler i quali, una volta evasi, costruiranno una testimonianza ritenuta la prima fonte ufficiale sull’organizzazione del campo: vi è riportata una pianta di Auschwitz, una mappa, un disegno delle camere a gas e il disegno dell'estensione di Birkenau. Questo testo è firmato dal consiglio ebraico slovacco per facilitare e velocizzare la denuncia internazionale.

Le fonti, quindi, sono state molteplici e a distanza di anni ci si pone il quesito se fosse stato opportuno intervenire prima nel campo evitando la eliminazione sistematica di tutti coloro che erano esclusi dal sistema eugenetico nazifascista. Con estrema probabilità, come confermano recenti studi, il problema fu politico e non militare: i generali americani, pur conoscendo la situazione del campo, come tutti gli altri generali, obbedirono agli ordini dei responsabili politici, e per i politici salvare gli ebrei non era una priorità.

Ora, questa vicenda, oltre che indurci al ricordo, alla memoria e all’attenzione delle diversità, qualsiasi esse siano, ci pone di fronte al limite delle nostre esistenze umane: l’incapacità di azione. Ancora oggi in Europa celebriamo il "Giorno della Memoria" senza vergognarci per il disimpegno sui nuovi olocausti nei confronti dei tanti “scartati” come, ad esempio, i migranti sulla rotta balcanica.

E si impone la necessità di agire, di fare presto, di non aspettare per non crollare nella celebrazione dei rimpianti. Come invita a riflettere Piero Terracina

quando leggo o ascolto delle minacce dell’ISIS, vedo le decapitazioni di ostaggi, le fucilazioni dimostrative, i video che viaggiano su Internet, la prigionia di giornalisti ridotti a scheletri o il pericolo di un califfato islamico non riesco a trovare pace, a rallegrarmi. Mi piacerebbe pensare che il valore della vita sia diventato per tutti un punto fermo. Deve esistere un sistema per intervenire, il mondo deve fare qualcosa e presto. Troppo facile girarsi dall’altra parte accampando scuse. Se il nostro esempio non è stato vano credo davvero che non si debba aspettare, mi piacerebbe sapere alla mia età che il tempo dei rimpianti e delle recriminazioni è finito per sempre.”

 

 

 

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