Stamattina mi ha chiamato una mia amica socialista per dirmi che ero stato pressoché l’ unico (almeno in zona) a pubblicare la notizia sulla morte di Marcello Russo e per chiedermi di aggiungere altro alla bella ricostruzione fatta da Gianni Melilla e da me ripresa e rilanciata.
La mia amica era mossa dal timore che una figura così limpida e rappresentativa, come Marcello, potesse essere in qualche modo non adeguatamente ricordata, peraltro proprio nel giorno della memoria. Già la memoria…la memoria degli uomini è alquanto labile e quella dei social si alimenta di click e i click vengono a loro volta alimentati dalle icone del momento.
Per la generazione mia e per quella precedente Marcello Russo è stata un’ icona, un simbolo, un tutore dei diritti calpestati. Egli non è stato solo un dirigente del Psi negli anni settanta, non è stato solo uno dei cosiddetti padri fondatori della Regione Abruzzo, di cui fu stimato e competente presidente del Consiglio, ma fu soprattutto l’ Avvocato dei diritti calpestati.
Il potere di quegli anni (a titolo di pura cronaca era la Dc) amava assumere propri clienti ed elettori molto spesso falsificando o quanto meno forzando i concorsi pubblici, per cui negli Enti (Regione, Province, Comuni, Poste, Asl, ecc…) entravano i raccomandati e non i meritevoli. Pochi sapevano che contro questo malvezzo sistema clientelare si potevano adire le cosiddette vie legali della giustizia amministrativa, di cui Russo era un grande esperto e pochissimi avevano il coraggio di impugnare le delibere di nomina e gli atti dei concorsi, per farli sospenedere o invalidare. Quelli che lo sapevano o che ne avevano il coraggio andavano da Marcello, che spesso senza farsi pagare, ricorreva al Tar, che ripristinava la giustizia violata.
A mia memoria ricordo che lo fecero, ottenendo ragione, Concetta a Vasto, Claudio a Dogliola ed il coraggioso Angelo a San Salvo, che i ricorsi li faceva con la fotocopiatrice per sé e per i rari colleghi coraggiosi. Anche Santino Del Casale si fece difendere da lui nel processo contro Altieri, per stare lontano dalla longa manus democristiana.
Le delibere dei Comuni erano sottoposte, al tempo, ad una sorta di Censore politico, che era il Comitato regionale di controllo. Quello di Chieti, per una penalizzante lottizzazione regionale, era composto da otto membri, di cui sette erano della Dc (perché Gaspari qui era fortissimo) ed uno del Psi (che stava in Giunta regionale); supplente era un galantuomo comunista (Licio Bevilacqua). Il Co.re.co. era uso bocciare o approvare le delibere non per la legittimità: ricordo che a San Salvo copiammo pari pari una delibera di Gissi già approvata dal Comitato, che a noi fu bocciata. La dovemmo ripresentare chiedendo a Licio di dire ai “colleghi” che li avremmo denunciati se l’avessero ancora pretestuosamente bocciata: quei codardi la fecero passare, ma dopo aver chiesto (sic !) ulteriori chiarimenti, che ovviamente ci scrisse Marcello.
Allora la Legge era subordinata all’ appartenenza politica dei proponenti e quando i due membri della sinistra non riuscivano a farsi rispettare (perché era arrivata la telefonata di un potente democristiano), allora non restava altro che andare a Dogliola da Umberto Giammichele (peraltro collaboratore di Marcello nell’ Ufficio legislativo alla Regione) o a Francavilla da direttamente nel suo studio.
Il suo ultimo discorso al congresso provinciale socialista di Orsogna presagiva quel che sarebbe accaduto di lì a poco in Italia e che oggi racconta Palamara ossia che la giustizia politica avrebbe sostituito la politica politica: Marcello ce lo disse almeno dieci anni prima che “scoppiasse il dipietrismo evolutosi poi nel giustizialismo di marca Travaglio Bonafede”.
Per lui e per noi alla Magistratura ci si ricorreva quando il potere violava i diritti, quando il clientelismo soppiantava il merito individuale e non certo per battere l’ avversario politico. Marcello Russo ha aiutato i coraggiosi, i combattivi, gli oppositori, gli “scanzati” a non farsi schiacciare dal potere. Bisogna onorarlo per questo.