Vincenzo di Capua, Mecenate e un verso di Quinto Orazio Flacco a Gambatesa insieme a un altro della Genesi…
Qualche anno fa Lucariello D'Alessandro, a nome dell'amministrazione comunale presieduta da Carmelina Genovese, motivò la decisione di conferirmi la cittadinanza onoraria giustificata dalla pubblicazione del volume che avevo dedicato al Castello di Vincenzo di Capua che di Gambatesa è il monumento più importante. Fu un modo di testimoniare che la politica (a prescindere dalla piccola importanza che aveva il mio libro) deve essere fortemente connotata dal rispetto per le proprie radici storiche e culturali.
Avevo avuto modo di illustrare in ogni minimo particolare le pitture di quel castello e i riferimenti che esse hanno con le Metamorfosi di Ovidio.
Ho continuato a frequentare Gambatesa e i suoi abitanti Lucariello D’Alessandro e Francesco Carozza mi hanno fatto conoscere altre tessere di un mosaico che Vincenzo di Capua sembra abbia voluto disseminare qua e là sulle pietre delle case affinché la comunità di cui era feudatario illuminato potesse avere una precisa consapevolezza delle sue doti culturali.
La questione dei riferimenti alla letteratura latina potrebbe apparire puramente occasionale immaginando che non vi sia stata una precisa scelta ideologica da parte di quel Vincenzo di Capua che nel 1550 commissionò gli affreschi a Donato Decumbertino.
Invece un’epigrafe incisa sull’architrave esterno della finestra di una delle case vicine al castello mostra un Vincenzo di Capua desideroso di apparire, anche nell’aspetto urbano, come persona particolarmente colta.
A pochi metri dal palazzo, dall’altra parte della strada, sopravvive malamente quello che resta di una casa che una volta ebbe una decorosa facciata.
Al primo piano si apre una finestra che mostra i caratteri di un’architettura che appartenne alla prima fase del rinascimento napoletano, che potremmo definire spagnolo, con forti reminiscenze del periodo catalano, come si può osservare nella cornice spezzata delle due spallette.
Nel pannello che costituisce la fascia di separazione dell’ornia dell’apertura e della sua soprastante cornice di coronamento sono scolpite, in capitale classica, alcune parole che sono una piccola variazione (per ignoranza o per errore del lapicida) di un originale verso tratto da un’epistola di Orazio (Epistola I, 46):
PE(r) MARE . PAVPERIEM . FVGIEIVS . PER SAXA . PER IGNEM
Il verso di Orazio è un po’ diverso perché il lapicida, forse male interpretando l’appunto presumibilmente manoscritto dal committente, confuse le ultime due lettere di FVGIENS in FVGIEIVS e modificò IGNIS in IGNEM.
In realtà, questi sono i versi autentici di Orazio:
“INPIGER EXTREMOS CURRIS MERCATOR AD INDOS,
PER MARE PAUPERIEM FUGIENS, PER SAXA, PER IGNIS
("come un mercante operoso viaggi fino alle Indie,
per sfuggire alla povertà attraversando il mare, i monti e i vulcani")
Non è sicuramente un caso la scelta dell’epistola da cui è tratto il verso. Essa è indirizzata, sia pure fittiziamente, da Orazio a Mecenate.
In questo modo, ove ci sia ancora necessità di dimostrarlo, Vincenzo di Capua, di nuovo ribadisce di volersi identificare in un personaggio che impegna parte delle sue sostanze per lo sviluppo dell’arte, della letteratura e della poesia.
Mi pare evidente che con il verso scolpito sul fronte della finestra, che è chiaramente leggibile da qualsiasi passante, egli voglia attestare di essere, come un novello Mecenate, l’animatore di sodalizi culturali con la presenza di letterati e artisti che all’interno del palazzo, evidentemente, egli aveva desiderio di frequentare.
Qualche tempo dopo Marco D’Antonio da Gambatesa mi ha inviato l’immagine di un’altra finestra del medesimo edificio.
L’epigrafe che appare sul suo fronte non è particolarmente rovinata, ma avrebbe bisogno di un consistente restauro.
La scritta è chiara e il significato va interpretato:
DE SUDORE VULTUS MEI
(ovvero “proveniente DAL SUDORE DEL MIO VOLTO”).
La frase è ripresa dalla Genesi 3,19:
“… in sudore vultus tui vesceris pane donec revertaris in terram de qua sumptus es quia pulvis es et in pulverem reverteris”.
(Con il sudore del tuo volto mangerai il pane;
finché tornerai alla terra,
perché da essa sei stato tratto:
polvere tu sei e in polvere tornerai!)
Appare evidente che si tratti di una trasposizione letteraria iperbolica che ha la funzione di esaltare il sacrificio compiuto per realizzare l’edificio che viene assimilato a quello che profeticamente anticipa il martirio di Cristo.
Sono solo quattro parole che dicono e non dicono, perché i versi originali terminano con “pulvis es et in pulverem reverteris” (polvere sei e polvere tornerai ad essere).