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"GASPARI, LA VIOLENZA CLIENTELARE E IL RICATTO SUI DIRITTI"

Dario Leone, sociologo e comunista, fuori dal coro celebratico

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AVVERTENZA DEL DIRETTORE

Come abbiamo scritto nel sottotitolo, Dario Leone si pone fuori dal coro celebrativo di questi giorni in favore di Remo Gaspari. Noi, che abbiamo diligentemente pubblicato inviti, recensioni e prolusioni favorevoli all' ex ministro, fedeli alla nostra editoriale di far parlare tutti sui nostri strumenti mediatici, non possiamo di certo censurare il Dott. Leone, che perlatro è dirigente nazionale di un partito e che soprattutto con coraggio ha dediso di scrivere quel che pensa.  Raccomandiamo a coloro che non saranno d'accordo su quanto scritto di seguito di commentare in modo civile...a a limite, se c'è fermento, ci impegniamo a promuovere un Chi c'è, c'è sul leader della Dc abruzzese, su cui dopo dieci anni dalla scomparsa c'è materia per parlarne in modo corretto. Grazie

Segue l'articolo di Leone

A cento anni dalla nascita dell’ex Ministro democristiano Remo Gaspari, l’Abruzzo inaugura una serie di cerimonie per ricordare colui che ha costruito lo sviluppo industriale della regione. È questa la chiave di lettura che ha spinto alcuni Comuni come Vasto, prima a insignirlo della cittadinanza onoraria e poi a celebrarlo al pari di un Santo Patrono. Il mainstream del territorio sembra radicalmente uniformato su un assordante quanto vacuo pensiero unico. Se di sviluppo si è trattato, questo è stato appannaggio dei democristiani e di coloro che pur appartenendo ad altre formazioni politiche, sono stati “culturalmente violentati” e costretti a cambiare casacca, pur di garantirsi quello che la costituzione repubblicana individua come il diritto sociale più importante: il lavoro.

Remo Gaspari, ha utilizzato uno sviluppo che sarebbe comunque stato inevitabile, per costruire una delle più potenti macchine elettorali dell’Italia, usando le violente armi del ricatto sul futuro e sull’esistenza delle persone. Ciò ci porta inevitabilmente al tipo di architettura culturale che si è maturata: il concetto del lavoro non come diritto ma come libera elargizione del potere. Un favore da ricambiare rispetto al quale mostrare gratitudine per il resto della propria vita. Gratitudine attraverso la scheda elettorale, comportamenti antisindacali, riverenza verso lo “Zio”, ora chiamato “eccellenza”, ora onorato del “baciamano”.

Remo Gaspari ha introdotto la cultura del cappello in mano, della testa china al passare di un potente, impedendo lo sviluppo vero: quello che fa nascere e progredire persone emancipate, consapevoli dei propri diritti, in grado di analizzare i processi sociali e decidere del proprio avvenire. All’Abruzzo dalla schiena piegata, voglio contrapporre un altro Abruzzo, quello fiero, dignitoso, che ha saputo sfidare il potere democristiano pagando dei prezzi cari ma salvaguardando la cosa più importante che un uomo abbia: la dignità.

Voglio ricordare Tonino Rapposelli, il primo segretario regionale della CGIL abruzzese, protagonista di tutte le battaglie sindacali e politiche della nostra terra, che ha accompagnato i lavoratori dalla povertà ad una condizione di progresso culturale e di benessere dignitoso, senza che nessuno fosse costretto a inginocchiarsi a vita indipendentemente dalla propria appartenenza politica. È davvero inquietante che la sedicente Sinistra nostrana prima con Luciano Lapenna, poi con Francesco Menna, tributi iniziative istituzionali a chi ha fatto del più grande diritto sociale, una bieca merce di scambio, a chi ha impedito di entrare nel mondo del lavoro coloro che la pensavano diversamente, ma soprattutto che ha favorito nella pubblica amministrazione, l’ingresso incapaci, di medici incompetenti rei di disastrose prestazioni professionali, di impiegati nullafacenti, di dirigenti fallimentari, di pennivendoli fregiati della medaglia di “giornalisti” completamente estranei ai propri precetti deontologici lasciando fuori dal mercato del lavoro i competenti e i meritevoli costretti a emigrare verso altre regioni.

Questo è stato Remo Gaspari, la vocina mansueta, di un volto violento, totalitario e arrogante del potere abruzzese che va sì ricordato ma a monito. Alle nuove generazioni va insegnato come lottare per la propria dignità e non come perderla. Va insegnato ad alzare la testa e non ad abbassarla come fanno i sindaci di quella sinistra ormai oscenamente irriconoscibile e sventrata della sua ragion d’essere.

 

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