La seconda vittima del Covid ci lascia nuovamente increduli e addolorati.
Non ci si può credere anche stavolta. Con Antonietta avevo avuto modo di fare una bella chiacchierata nei corridoi del Comune qualche settimana fa.
Era attivissima e operativa come sempre, con la fierezza garibaldina che l’ha sempre contraddistinta e le sue carte in mano mentre si districava egregiamente, tra un ufficio e l’altro, per sistemare gli adempimenti del giorno.
In fondo, lei era di casa, perfettamente a suo agio, in quel Palazzo che per anni l’ha vista alle prese con alunni, insegnanti e aule da sistemare, quando Palazzo Marchione ospitava le classi delle Scuole Medie.
Ci faceva rigare dritto e c’era poco da furbeggiare con lei, motivo per cui l’ho sempre immaginata come l’alter ego di una mamma, con le stesse caratteristiche, che avevo a casa.
E per questo mi piaceva!
Eppure, prima che suonasse la campanella della nostra ricreazione, capitava di trovarla - in un’atmosfera diversa, quasi leggera - ad anticipare la sua merenda con i colleghi di una vita: Rosina e Domenico.
L’odore inebriante della focaccia bianca che farciva con olio e mortadella credo abbia impregnato i ricordi di tutti noi.
Me la vedo ancora mentre prepara una colazione da pascià su una cattedra sbilenca, nella sua postazione di sempre, prima di tornare a vigilare su una moltitudine di alunni in festa per il suono della campanella di metà mattina.
Tutti ci siamo sentiti un po’ figli di Antonietta in quegli anni.
E tutti noi, oggi, siamo attoniti davanti al mistero insondabile di un nemico invisibile che non ha ancora smesso di lasciarci in pace.
Buon viaggio, Antonietta