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Per Angiolina Balduzzi, il modesto ricordo di un amico

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È bene ricordare qualche volta a se stessi che il significato originario di «giostra» rinvia a quegli esercizi medievali che vedevano, in uno scontro frontale, il combattimento cruento di cavalieri con lancia in resta. In seguito, si era trasformata nell’indicatore di simulazioni di lotta meno violente fino a raggiungere quella sognatrice dei bambini che, nella circolarità di un movimento meccanico, vedevano, felici, la realizzazione di un mondo che, in quegli istanti, nel girare intorno alle loro vite, li rendeva, campioni vittoriosi verso gli adulti che restavano immobili nelle proprie postazioni di attesa.
 
Malgrado ciò, difficilmente si sarebbe potuto pensare alla possibilità di una «giostra della memoria» che invitasse alla lotta contro la banalità di un vuoto presente, dimentico perfino delle “radici” da cui dipendeva. Mi pare che questo fosse il pensiero della magnifica e combattiva Angiolina Balduzzi quando, proprio vent’anni fa, nel 2005, aveva deciso di fondare quell’istituzione che, nell’immaterialità del concetto di “memoria”, raccordava tutto ciò che «fisicamente» poteva restituire alla comunità del presente il senso della comunità del passato. Ve l’immaginate quella geniale creatura di Angiolina che, senza nemmeno pensarci sopra, aveva realizzato uno dei primi esempi di «patrimonio culturale immateriale» che l’Unesco (2003) aveva cosi definito:  “Il patrimonio culturale immateriale è definito come le pratiche, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze e le abilità che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come parte del loro patrimonio culturale. Il patrimonio immateriale garantisce un senso di identità e continuità ed incoraggia il rispetto per la diversità culturale, la creatività umana, lo sviluppo sostenibile, oltre che il rispetto reciproco tra le comunità stesse ed i soggetti coinvolti. I beni immateriali non presentano un’identificazione materiale, concreta o corporale, ma acquistano rilevanza per l’ordinamento giuridico in relazione all’applicazione concreta di essi, a cui si riconosca tutela giuridica”.
 
Detta in altri termini, «La giostra della memoria» altro non era che «patrimonio culturale immateriale» attraverso cui, nella collazione delle diverse espressioni della sua fisicità, riusciva a dare vieppiù compiutezza a un concetto apparentemente astratto come quello di «memoria». E ciò ci riconduce al pensiero di Martin Heidegger che chiamava tutto questo rapporto, “essere nel mondo. Vale a dire, ciò per il quale il soggetto non può essere compreso separatamente dal mondo in cui vive. In altre parole, la «Giostra» di Angiolina costituisce l’esemplificazione più coerente della lotta che la memoria ha compiuto e compie perché la comunità potesse ritrovare, attraverso il rapporto diretto con gli oggetti prodotti nel tempo, un senso al modo in cui essa stessa produce il suo presente. Ciò vuol dire che, per Angiolina, il suo museo non è stato un discorso sul passato ma è il modo stesso in cui ha vissuto il presente.
 
Solo in questa prospettiva si capisce il perché Angiolina non abbia mai voluto istituzionalizzare la sua creatura. Nemmeno pensare alla possibilità di una fondazione. Siamo di fonte all’effetto mirabile della volontà di una gran donna d’azione che, in piena e assoluta libertà, a partire dal suo patrimonio, ha voluto dimostrare che memoria non è vuota collezione di oggetti passati, ma una delle modalità in cui è possibile costruire il presente. Case del centro storico che continuano a rimanere case con tutti i materiali che ne hanno caratterizzato il sussistere e che proprio in tali abitazioni a misura di essere umani, e negli antichi oggetti che ne hanno reso possibile la continuità, è possibile auspicare un futuro alle “case” e alle “cose”, dimostrando soprattutto a se stessa che cosa volesse dire essere parte attiva di una comunità. La Sua è stata testimonianza vivente di come il patrimonio culturale così concepito possa essere lo snodo culturale per aprirsi alla Contemporaneità restituendo alla “vita activa” – e al senso di misura che connota l’essere-nel-mondo – ciò che la Contemporaneità ha distrutto e distrugge nel nome del più lurido e squallido profitto.
 
Carissima Angiolina, una vecchia canzone cantautorale (di E. Ruggeri e F. Mannoia) composta del decennio conclusivo dell’ultimo millennio che aveva per titolo «La giostra della memoria», a un certo punto del testo, recitava così: «Non avevo limiti/E parlavo agli angeli». Proprio così. Non ho limiti a parlare della tua splendida realizzazione (ma ne discuterò in altra sede) e mi sento di parlare a un angelo (proprio io che non conosco gli angeli!).
 
Ma va bene così. E che posso fare di più! Al termine della tua operosa giornata, mi sento solo di poterti offrire una sommessa e commossa buonanotte, augurandomi solo che la tua città, San Salvo, sappia riconoscere i meriti con cui l’hai onorata.
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